Negli anni successivi allo spit con gli Helloween, avvenuto nel 1993, e al debutto da solista, intrapreso nel 1996, con quell' "Instant Clarity", che alternava momenti ancora metal e rock con altri in cui si intravvedeva lo stile che avrebbe segnato i lavori successivi, Michael Kiske andò incontro al distacco definitivo dal metal e il suo mondo; infatti furono molte durante quel periodo le interviste in cui iniziò a rinnegare il genere che gli aveva dato il successo, definendolo chiuso mentalmente e portatore di messaggi satanici (??); ed il suo passato negli Helloween, oltre all recente album "Instant Clarity" che definì troppo roccioso, anche a causa della collaborazione con Kai Hansen e Adrian Smith; e arrivò a dichiarare che il suo album successivo sarebbe stato un disco pop.
Per fortuna, ascoltando questo "R.T.S.", datato 1999, si capisce che le cose non stanno proprio così, e, anche se è vero che vengono definitivamente abbandonate le sonorità metal e hard rock che ancora erano presenti nel suo predecessore, non ci troviamo di fronte a un disco pop nel senso più scialbo e mainstream del termine; ma a 10 tracce molto ispirate e dal sapore cantautoriale, che abbracciano stili e generi diversi e ci rivelano le molte sfaccettature del songwriting di Kiske, con la sua voce sempre stupenda che riesce ad impreziosire le varie composizioni.
L'opener "Could Cry" è una song pop-rock che parte scoppiettante con dei ritmi molto allegri, ma che poi si placano, lasciando spazio ad un ritornello invece molto calmo e riflessivo. Con la successiva e bellissima "Ban ‘Em" Michael si cimenta invece con una canzone dalle influenze folk e country, influenze ben presenti anche nella seguente "Philistine City", che contiene un'interpretazione vocale superba e un testo molto ispirato, e qui siamo di fronte ad una delle migliori canzone mai cantata da Kiske. "Crosstown" ricalca ancora il folk-rock delle songs precendenti, ma è sicuramente più banale e meno incisiva, e lascia presto spazio alla successiva "Where Wishes Fly", ballata acustica e malinconica dalle atmosfere sognanti e molto suggestive, con un testo davvero bello ed evocativo.
Completamente diversa è invece "Watch Your Blue", canzone finalmente più rock e molto divertente, che quasi contrasta con le atmosfere più cupe e riflessive che pervadono il resto dell'album; in "Out Of Homes" troviamo un'altra ballata molto sentita, che possiede anche un testo molto personale e che guarda avanti con fiducia, privo delle influenze pessimistiche che Kiske trasmette in molti dei suoi brani del periodo; in particolare durante il chorus, che recita "I'm alone on the streets tonight, I am lost but I will get it right, silent anger chews my heart to mush; dirt stains on me like a skin, and you always gotta see me again", per quella che è sicuramente una delle mie canzoni preferite del cantante.
Rialza il ritmo "It", song quasi rock e dal testo un po' enigmatico, ma che comunque si lascia apprezzare per i suoi ritmi allegri e solari, prima che cali il silenzio ad introdurre "Easy", ballata sinfonica e pianistica dal sound solenne e sommesso, con Kiske che ci regala un'interpretazione molto sentita raggiungendo delle vette vocali sinceramente impressionanti; il testo è veramente triste, ma anche carico di speranza nel finale mentre canta "Lay all worries on me, lay all fears on me, lay all pain on me,lay all load on me, just lay all weight on me, put it all on my shoulder! Long is the road, that leads out of cold, a second will carry all fortune at once ,a second can show!"; in quella che è sicuramente una delle canzoni più profonde mai scritte dal singer; non è facile da capire, ma rappresenta senz'altro, insieme ad "Always" e a "Do I Remember A Life?" (tratte dal disco precendente) il volto più intimo e personale del cantante che riesce ad esprimere e a tradurre in musica i sentimenti che sgorgano dal profondo del suo animo.
Chiude la particolare e medievaleggiante "Shadowfights" altra gemma preziosa contenuta nell'album, canzone leggera come l'aria che tende a volare via e scomparire portandosi dietro i ricordi e gli scorci di un mondo antico e nascosto; anche se il testo è in antitesi con la musica e contiene presagi catastrofici in linea col pessimismo cosmico che pervade l'intero album.
Non poteva esserci chiusura migliore per questo "R.T.S.", album davvero particolare, intimista e completamente fuori da ogni schema, tanto che fu un grandissimo fallimento commerciale, e rappresentò un brutto colpo per Michael Kiske, che perse anche il contratto con la propria casa discografica e, come ammise qualche anno dopo, si ritrovò alle prese con ristrettezze economiche e seri problemi di depressione e di salute. Seguirono altri anni di silenzio, interrotti nel 2003 dal discutibile progetto Supared, che però fu l'ennesimo fallimento, dal quale per fortuna Kiske saprà rialzarsi incidendo negli anni successivi, oltre a due album solisti e molto acustici, due buoni dischi con i Place Vendome, insieme alla collaborazione e all'amicizia con Denis Ward, che li porteranno a formare una nuova band insieme e ad intraprendere, nell'estate di questo 2010, un tour in cui Michael tornerà ad esibirsi dal vivo dopo 17 anni dalla sua ultima apparizione, in quell'ormai lontano tour di "Chameleon" con gli Helloween.
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