Chi non conosce Lovecraft troverebbe questo libercolo complesso, forse criticamente interessante, ma poi potrebbe dire: “Ok, bene benissimo, not my cup of tea”.

Chi lo conosce nella maniera più provinciale e spuria (tentacolini, Dagon, solitario di Providence, l’esoterista circondato da gattini neri che avrebbe ispirato Alien, Sam Raimi, la Marvel e la madonna incoroneta) prima si annoierebbe nel sapere che il suo “maestro” era quello che era, e poi si ritroverebbe deluso dalle mancate spiegazioni sul complicatissimo bestiario mitologico (assolutamente aleatorio) che tanto lo fa smattare.

Chi conosce davvero HPL, chi lo ha letto sul serio, senza farsi scoraggiare dalla sua apparente prolissità, chi è entrato nella realtà tenebrosa della sua potenza narrativa e filosofica, non condividerà tutto ciò che Houellebecq scrive, ma di sicuro troverà parecchio di vero, e di estremamente prezioso, in questo saggio, o romanzo con due soli protagonisti: Lovecraft & la vita.

Parto dalla cosa più sbagliata (meno corretta) che mi salta all’occhio: “Contro il mondo, Contro la vita”. HPL non era contro. Non ne aveva bisogno. Criticava, si disgustava, lanciava strali e aveva orrore del mondo e della vita. Ma se fu CONTRO, poi passò OLTRE. “Oltre il mondo, Oltre la vita”. Questa è la sua grandezza, questa è l’illuminazione che mi ha colto; questo è ciò che aiuta a capire sul serio questo libro. La cui morale è che Lovecraft fu un’intellettuale che mai il mondo ebbe conosciuto, e che mai più conoscerà.

Houellebecq procede con metodo autoptico (come HPL), destrutturando il concetto di racconto (come HPL), sacrificando i personaggi (come HPL), conducendoci a un esito definitivo, totale, talmente “oltre” da non poter lasciare scampo (come HPL): Lovecraft non era in grado di vivere. Lovecraft amava un mondo che non esisteva. Lovecraft non era interessato praticamente quasi a nulla di ciò che la sua modernità gli poteva offrire.

Il saggio dice molto, moltissimo. C’è un’analisi tecnica molto ben fatta che spiega il complesso e profondo approccio narrativo-strutturale di HPL, ci sono molte libere interpretazioni da parte dell’Autore, c’è la noiosissima e pelosa questione del razzismo… Io vi dico ciò che penso HPL possa aver lasciato, e sul quale io e Houellebecq potremmo essere d’accordo.

Lovecraft non era un maestro, un solitario, un intellettuale nella torre d’avorio: definizioni sciatte che gli stanno davvero strette. Incapace di amare, archiviate le meccaniche routine del sesso nella sua breve esperienza matrimoniale, vivente a stenti poiché totalmente disinteressato al denaro e perché di mentalità totalmente anti-commerciale, era genuinamente e incontrovertibilmente SUPERIORE. A cosa? Alla nostra realtà, al nostro mondo. “Razzista” perché schiacciato da chi più di lui sapeva vivere, spaventato dalla competizione, inadeguato fin dalla sua infanzia. Si vendicò, in un certo modo.

Ma nemmeno fu una vendetta, che presuppone, nella sua infamia, una certa miserabile inferiorità; con beffardo cinismo, inattaccabile estensione fantastica e impareggiabile distacco, relegò il globo terrestre a un incidente. A una causale congregazione di puntini ammucchiata a caso dai venti cosmici soffiati da forze che la scienza si illude di comprendere. Qualcosa di terribilmente simile, poeticamente e poieticamente, alla realtà della materia oscura. Ma si divertì anche a popolare questo mondo, o meglio, gli spazi insondabili che si celano tra le pieghe del tessuto materiale dell’universo, di energie, entità pensanti che attraverso buchi d’ago che perforano le pieghe di cui sopra, filtrano nel nostro piano di realtà. Ecco allora Cthulhu, Yog Sothoth, Nyarlatothep, Shubb-Nigurrat, tutte le amenità che illudono il lettore disattento e pop ad avere a che fare con un intricato pantheon, una mitologia, un “Ciclo”.

Tutte balle; uova di drago disseminate qua è la nei magazines weird e fantastici. Beffarde contraddizioni, rimescolamenti, miti informi e intangibili come le stesse creature che li popolano. Una goliardica provocazione che Houellebecq purtroppo manca di sottolineare abbastanza; Lovecraft portò avanti il suo pantheon mostruoso non solo perché narrativamente funzionale al disvelo di certe trame, ma anche perché si divertiva di come le sue invenzioni stimolassero, in maniera prosaica e infantile, l’immaginazione anche dei suoi più affezionati e vicini estimatori.

Oltre al ciarpame, che avvilentemente è ciò che più rimane di lui oggi, Lovecraft ci sbatte in faccia la sua realtà: caro uomo, care religioni, cara scienza; se pensate che tutto ciò che vedete al mondo sia vostro, e lottate per esso, è solo perché vi illudete di conoscere ogni aspetto della realtà. C’è ALTRO che sfugge ai vostri sensi, che non si può misurare se non tramite l’influenza che esercita sulla nostra realtà. E che pertanto è orribile, anzi è più che orribile, è oltre, al mondo come alla vita. E qui si chiude il cerchio.

Compreso questo, (inizio anni ’30) HPL molla; velleità commerciali come pretese artistiche di raggiungere e (de)scrivere l’orrore cosmico. Si dedica piuttosto alla de-strutturazione del divenire storico, al fascino fantascientifico del tempo come dimensione percorribile in qualsiasi direzione, scrive per sé stesso e per lenire la sofferenza di ciò che sicuramente fu un periodo tutt’altro che facile. Perché, nonostante tutto, di essere umano sempre si trattava. Ma la morte non ebbe la soddisfazione né di spezzarlo, né di fargli rimpiangere nulla; se nelle lettere fu davvero sincero, allora fu superiore anche alla morte, oltre che, intellettualmente parlando, alla vita.

Difficile rimanere indifferenti, quando si ha un anima sensibile e libera, a ciò che HPL è riuscito, con molta fatica e con un incandescente, inquietante flusso carsico di pensieri, a comunicarci. Qualcosa di così potente, estraneo e impeccabilmente delirante da suonare quasi commovente.

PS: Houellebecq, probabilmente perché scrisse il saggio più o meno trent’anni fa, non poteva saperlo, ma l’aggettivo “lovecraftiano” non vuol dire una mazza

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