Nella mia personale, maliziosa classifica dei “Chitarristi Che Mi Piacciono Più Di Clapton, Quantomeno Più Importanti Di Lui Nella Mia Vita”, elenco che mette insieme qualche centinaio di nomi, vi è anche lui il biondino di Hull, bravo ed eclettico, troppo preso dalla musica e troppo poco opportunista per avere una carriera degna del suo versatile talento.

Quest’album uscì postumo nel 1994 un anno dopo la sua morte, due dopo il suo ultimo grande palco, il tributo a Freddie Mercury allo stadio di Wembley. La sua vedova Suzanne ha recuperato i nastri di un album lasciato a metà e li ha affidati ai migliori amici musicisti del compianto marito, perché ne tirassero fuori qualcosa di compiuto.

Non è stato semplice, perché Ronson aveva registrato più che altro solo tracce guida di voce, talvolta incomplete e comunque per forza di cose poco incisive. La soluzione presa è stata quella di lasciare la traccia vocale del titolare ove possibile, doppiandola con una performance vigorosa e convincente di qualcun altro. Si sono cimentati in questo, un po’ per uno, Joe Elliott dei Def Leppard, David Bowie, John Mellencamp, Ian Hunter ex Mott the Hoople, Chrissie Hynde dei Pretenders.

L’album non è comunque granché, Ronson stava già male al fegato (si era visto nel 1992 anche a Wembley… la sua solista in stile Robert Fripp su “Heroes” era stata parecchio lacunosa), le sue ultime canzoni non sono molto incisive. La sua chitarra non morde abbastanza, mi manca tanto il suo timbro unico, ottenuto bloccando il pedale wha wha in una posizione intermedia sì da ottenere un suono molto medioso, penetrante, croccante. E mancano anche quegli arrangiamenti brillantissimi, anche orchestrali, che lui aveva dispensato a piene mani sui dischi di Bowie, Lou Reed, Dylan, Dalbello, Hunter, Morrisey…

C’è la cover di “Like a Rolling Stone” di Bob Dylan, cantata da Bowie, una chicca. C’è soprattutto il gran finale con il recupero della galattica “All the Young Dudes” eseguita dal vivo appunto al concerto di tributo a Freddie Mercury: l’autore Bowie sul palco insieme a Joe Elliott ed il suo chitarrista Phil Collen ad intonare i cori, mentre l’impagabile timbro da “Bob Dylan potente” di Ian Hunter declama, più che cantare, il testo dell’inno, gasandosi oltre ogni dire visto che è la canzone che gli ha cambiato la vita. Cinque minuti fra i più emozionanti di quello storico evento.

Belle le parole lasciate all’interno del disco dalla vedova Suzy Ronson, la parrucchiera di Bowie nel periodo d’oro di Ziggy Stardust, che poi Mick aveva impalmato. Malgrado i sorci verdi che il proverbialmente disponibile e gentile marito le aveva fatto ultimamente vedere (una storia e un figlio con una ballerina svedese), la donna mostra solo quanta disponibilità alla comprensione e al perdono ci possa essere nelle persone adulte ed equilibrate, e scrive fra l’altro: “Da parte mia e di Lisa (la loro figlia), mio caro, ci manchi tanto, meraviglioso uomo e diavolo di graffiante chitarrista. Vorremmo tanto che fossi qui. Tutto il mio amore.

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