Mike Scott è il nome di un milione, su per giù, di persone, tra le quali il deus ex machina dei Waterboys. E mentre sulla rete cercavo bootlegs, collections od altro a suo riguardo, mi capitò d'imbattermi in questo canuto signore, occhialini, pantaloncini e una chitarra, sull'uscio d'una specie di prefabbricato in legno immerso nella natura. Ovvio che non si trattasse del "mio" Mike Scott. E sebbene ne intuissi quantomeno un'attitudine folk, ben poco mi risultava chiaro, su di lui... Possibile che questo signore un pò attempato, con la barba bianca, non avesse altri dischi, all'attivo? Se ne avesse avuti, mi sarei imbattuto in lui molto tempo prima che nel 2005... E perché in rete, su di lui, a parte questa copertina di cd, non c'è altro che questa definizione: "west country troubadour"?

Quel titolo, poi, "canzoni del capanno"... E quella vegetazione... La vegetazione della campagna britannica, la vegetazione che ricorda del mio viaggio tra pubs e locande, brughiere e paesotti, alla ricerca dell'Inghilterra che meno c'entrasse col giovanilismo a tutti i costi della pompatissima "forever swingin' London"...

Non fu, infondo, granché come viaggio, quello lì, e la gente che conobbi non mi sorprese per niente, cosiccome i luoghi, quasi tutti uguali... Ma forse, non avventuroso e non sorprendente, quello fu uno dei viaggi più significativi... Pubs ed alcolici, vecchio folk e traditionals, gruppetti che cantavano gli Oasis con la consapevolezza di non aver niente da sognare e da chiedere alla musica ed alla giovinezza...

E migliaia di Mike Scott...

Ed allora facciamolo arrivare, questo disco, rievochiamo le immagini, le atmosfere di quel viaggio con un amico d'allora, che adesso ha due figlie, trenta chili in più e trentamila capelli in meno, dalla Cornovaglia su su fino alla cima della Scozia, a spese di papà...

Prodotto da tale UNLaBELLED, costola della Irregular Records (!)... Due pagine di booklet, senza lyrics ma con una breve, a volte ironica, riga riassuntiva del senso d'ogni canzone... Nell'inlay, la faccia di questo signore che spunta dalla finestrella del capanno chiuso... Le canzoni? Una chitarra e la voce d'un anziano. Brani serissimi, semiseri e comici, in cui la voce muta, e va da sofferente ma dignitosa come quella d'un vecchio cowboy o d'un bandolero stanco, a quella teatrale e mimica di intelligentissime filastrocche...

Le musiche, dunque, acquarelli tiepidi e miti come in "Pasties", un solo episodio più country in "Dogsong", giochi e ninnananne folk per "Warstars", "Catsong" e "Sneakin'"... Ed ancora folk epici da cercatore d'oro o semplici acquarelli acustici che si "jazzano", come farebbe Ralph Towner, in "Miss Appleton's Bell" e nella magnifica "The Door". Infine (infine si, ma al contrario) nell'opener "25 To 3", un bel dramma folk-blues. E i testi... Dolorosissimi, ma sempre con una sottile ironia di fondo. Oppure comici, ma con un certo nonsocheddiamine di tristezza, dentro... La produzione: zero, come per tutto il "true folk"; alcuni brani addirittura presi dal vivo, e puoi sentire le risate della gente dei folk clubs, negli episodi più esilaranti ("Catsong" su tutti).

Bravissimo, questo signor Nessuno: non vi lascio alcun sample perché (imparando dalle esperienze passate) i miei samples non li ascoltate. Anzi, già è un miracolo se qualcuno le legge, le mie recensioni! E poi a chi dovrebbe fregare del mio viaggio di oramai troppo tempo fa, o di un folk man che neppure io conosco, o di un disco la cui label si chiama "Unlabelled"?

Resta in me la consapevolezza che la musica, come la vita in genere, salvo le peraltro doverosissime eccezioni, non è migliore se è quella ‘alla grande'; che le persone migliori forse sono le più semplici (o prevedibili, fin'anco noiose), e non quelle che conoscono tutti, che appaiono dappertutto... Che le cose da vivere sono i momenti belli e semplici come una grassa risata alle strofe d'un cantante un po' attempato ma che c'ha il suo bel repertorio, tutti quanti ficcati dentro un folk club nella brughiera, mentre magari fuori piove che Dio sembra c'abbia mandato giù un altro diluvio universale... Altro che tutte queste cosacce sofisticate, artefatte e vuote di senso, come la tappa del Vertigo Tour degli U2, a Milano, nel 2005, obbligo cui non riuscii (causa i doveri del vivere in società) a sottrarmi.

Quell'anno, non gli U2, ma questo disco, questo signore tutto bianco, questa chitarra, queste canzoni, quei pantaloncini, quella vegetazione, quelle risate, furono "il mio evento"... E, naturalmente, quel capanno.

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