Una salita lungo il fiume: il caldo arranca sui miei polpacci, le sanguisughe gridano il ritmo dei remi; una pulsazione rigetta tutta la schiuma nell'imbarcazione.
Perdiamo peso, perdiamo la rotta che ci fa salire, verso l'ignoto. Lui rimane là con le sue urla e le sue mosche, ci terrorizza e alza il totem per guidarci: le sue foto lo dimostrano già vecchio, ma la sua musica li incanta.
Lasciateli costruire una lettiga, lo porteremo con noi quando torneremo indietro, verso l'accampamento centrale: là dove è rimasta impietrita la civiltà, a guardarci sorridere dal palmo delle foglie.
Ma questi uomini neri ci ostruiscono la strada, hanno vene azzurre e battono i tamburi, come diavoli si interrompono a vicenda e mimano il grido del coccodrillo... se mai ce ne è stato uno... se mai si è inabissata una barca con duecento libbre d'oro sullo scafo.

Io proteggo una donna: le sue braccia sono inanellate, manda afrori orrendi; le tocco il seno ma questo, quando premo distilla urina che cade sul palmo delle mie mani e io lo faccio cadere nel fiume profondo.
Un'onda assale le foglie più antiche e noi ci avviamo verso valle, abbandoniamo l'accampamento all'interno, lasciamo marcire le teste d'asino sui pali. Li abbandoniamo per l'ultima volta. Guardo i miei compagni che si divertono a sparare su di loro, mentre la donna dalle braccia inanellate d'oro tende le braccia verso la barca.
"Capisce quello che sta dicendo?", e lui abbozza un sorriso e mi tocca la mano, praticamente un osso infgiallito, risponde: "Come no... "

Più tardi mentre scendiamo il battito e il soffio si fanno più leggeri: abbiamo costruito una terra che non esiste, l'abbiamo abitata di uomini neri e feroci; il loro battito ci uccide la vista ma non possiamo più vivere senza di esso.

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