Nel 1979 la Columbia pubblica "Circle In The Round" per cercare di riempire il vuoto prodotto dal ritiro dalle scene di Miles Davis. Due anni dopo la situazione non è cambiata (anche se da lì a poco Miles tornerà in pista con "The Man With The Horn") e la casa discografica pubblica allora il doppio "Directions", contenente tracce registrate dal 1960 al 1970, focalizzandosi soprattutto sul periodo 1967-1970. Come per "Circle In The Round", anche per "Directions" mi sembra il caso di effettuare un analisi track-by-track, data la disomogeneità di fondo dell'album.

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1. "Song For Our Country" (1960); Davis (trumpet), Evans (arranger, conductor), Chambers (upright bass), Cobb (drums), Jones (percussion), same orchestra of trumpets, tubas, flugehorns, bass clarinet, oboe, french horns. bassoon and harp that recorded "Sketches Of Spain" (3:28 min)

Brano inserito anche come bonus track sulla reissue di "Sketches Of Spain", è uno dei più belli del capolavoro orchestrale di Davis e Gil Evans. Miles deve aver avuto un momento di follia a non pubblicarlo nell'album originale. Certo che, considerando il mood degli altri brani di "Directions", questo come apertura non è il massimo, sia per la distanza cronologica che di sonorità. Comunque ripeto, in sè bellissimo brano, le frasi di Miles sono semplicemente devastanti.

2. "'Round Midnight" (1961); Davis (trumpet), Mobley (tenor sax), Kelly (acoustic piano), Chambers (upright bass), Cobb (drums) (7:41 min)

Miles è una malinconia solitaria, ma che subito viene supportata dalla sezione ritmica. Wynton Kelly suggerisce, ogni tanto, qualche linea melodica, prima del famoso stacco che dà il via a Hank Mobley, e Mobley va riscoperto. Perchè non è Coltrane, nè Shorter nè Coleman. E' uno stile ibrido il suo, e meriterebbe più attenzione. L'interpretazione di "'Round Midnight" ne è la prova: la melodia è lì, sempre presente, ma Hank ci gioca, la colora e la accenna, come solo i grandi musicisti sanno fare.  Brano live edito già in "Saturday Night - Miles Davis In Person At The Blackhawk, San Francisco".

3. "So Near, So Far" (1963); Davis (trumpet), Coleman (tenor sax), Feldman (acoustic piano), Carter (upright bass), Butler (drums) (5:16 min)

Una delle poche, pochissime registrazioni con Frank Butler e Victor Feldman, trattasi di un'alternate take del brano di "Seven Steps To Heaven". Non fatevi ingannare dalla presenza di Ron Carter, questo pezzo è parecchio lontano dal sound del secondo grande quintetto. E' un bel brano, niente di rivoluzionario, ma si ascolta alla grande soprattutto per la maestria dei solisti e le figure ritmiche di Butler. Dai brevi spazi solisti di Feldman, oltre che sentendolo accompagnare, ci si può rendere conto di quello che ci siamo persi senza di lui nel gruppo di Miles per più tempo. Un musicista intelligente (Davis adorava il suo modo di suonare), che ben si incastra con la melodicità e la fantasia del grande George Coleman.

4. "Limbo" (1967); Davis (trumpet), Shorter (tenor sax), Hancock (acoustic piano), Williams (upright bass), Williams (drums) (5:32 min)

Classico brano del secondo grande quintetto, con contrabbasso (Buster Williams sostituisce occasionalmente Carter) molto statico sulle folli figure di Tony Williams e sopra tutto questo saltella indisturbato il pianoforte di Hancock. Sopra ancora, le brevi pennellate di Shorter, come al solito maestro del far intendere più che del dire. A differenza di sassofonisti come Coleman, dotati di grande eloquenza, il fraseggio di Shorter è più contorto, più celebrale, ma non per questo meno sincero. L'assolo di Miles è più pieno del solito, abbastanza raro per lui che amava suonare poche note, ed è fantastica la sua intesa con Williams: i due si intendono e si accompagnano l'un l'altro con una facilità disarmante. Incredibile anche l'intesa con Buster Williams, a riprova che se sì è grandi musicisti non è necessario suonare insieme da anni per capirsi.

5. "Water On The Pond" (1967); Davis (trumpet, chimes, tubular bells), Shorter (tenor sax), Hancock (electric piano, clavinet), Carter (upright bass), Williams (drums), Beck (electric guitar) (7:03 min)

Appartenente alla primissima fase del periodo elettrico, quella in cui Miles provò ad aggiungere la chitarra elettrica di Joe Beck. Pur non essendo un capolavoro come lo è il brano "Circle In The Round" (dello stesso periodo), questa è una composizione che si fa notare per l'inizio solare che ricorda molto i Weather Report e il contrasto fra l'assolo un po' etereo di Miles e la ritmica estremamente presente di Hancock, che si avvale sia del piano elettrico che del clavinet, anticipando una delle caratteristiche del suo periodo funk degli anni '70. Sotto il tappeto del piano si muove Carter, che fornisce solide fondamenta con dei giri metà walkin' bass metà melodia, molto simile allo stile di Dave Holland. Poi Williams si ferma, Herbie è ancora più presente, Miles si concede uno spazio più rilassato. Concessione che non viene fatta a Shorter, perchè Tony rientra e suona come suona lui, e la frenesia della batteria si scontra e s'amalgama col sax, che solo a volte la asseconda nella sua follia.

6. "Fun" (1968); Davis (trumpet), Shorter (tenor sax), Hancock (electric piano, harpsichord), Carter (upright bass), Williams (drums), Pizzarelli (electric guitar) (4:10 min)

La linea di basso è un cromatismo ascendente che si risolve in una stupenda frase melodica, e su questo è costruito "Fun". L'harpsichord è onnipresente e ben si fonde con la ritmica del contrabbasso. Più giù troviamo Tony Williams, che tutto sommato si limita a un lavoro piuttosto tranquillo considerando i suoi standard. La chitarra di Bucky Pizzarelli è un'aggiunta alla ritmica, non emerge, proprio come quella di Joe Beck nelle registrazioni precedenti. Shorter è ancora una volta veloci raid e più prolungate frasi, dove emerge l'iniziale influenza che Trane ebbe sul suo stile.

7. & 8. "Directions I & II" (1968); Davis (trumpet), Zawinul (electric piano, organ), DeJohnette (drums, percussion) Shorter (tenor & soprano sax), Hancock (electric piano), Corea (electric piano), Holland (electric bass), Macero (percussion) (6:48 & 4:49 min)

Su una ripetitiva frase di Dave Holland, Jack DeJohnette ricorda un po' Tony Williams, ma con più ritmo e meno virtuosismi, Wayne Shorter ricorda solo Wayne Shorter. Nessuno suona come lui, nessuno può concepire un assolo come lo concepisce lui. E' un modo di suonare che non mozza il fiato come quello di Coltrane, però ti fa rimanere fermo, concentrato per capire cosa sta dicendo. Ecco un'allusione, poi una frase più chiara, ancora un po' di mistero...            Dopo Wayne (che suona sia il tenore che il soprano) il testimone passa al ritmato assolo di piano elettrico (chi dei tre? sinceramente non so dirlo), che sfocia poi in un assolo di...piano elettrico, un altro.  Breve intro per "Directions II", i ruoli sono più definiti, c'è in sostanza maggiore sicurezza. Stessa frase di Holland, stesso tema all'unisono dei fiati, ma c'è più aggressività, DeJohnette picchia di più, la dinamica è maggiore, ma quel che colpisce è l'assolo di Miles: senza abbandonare il suo caratteristico lirismo, ci mette molta più forza, più aggressività appunto, creando un sound atipico per lui e che si ritroverà anche in altri brani, come "Duran".

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1. "Ascent" (1968); Davis (trumpet), Zawinul (electric piano, organ), Jack DeJohnette (drums), Shorter (tenor & soprano sax), Hancock (electric piano), Corea (electric piano), Holland (electric & upright bass) (14:41 min)

Brano d'atmosfera; sui suggerimenti dei pianoforti elettrici si muovono i solisti, creando un mood incerto, ma privo di inquietudine. Il contrabbasso non è il fulcro della composizione, ma solo la base, la batteria scompare quasi, è solo gioco di piatti. Su questo tappeto Shorter canta, descrive la notte. Miles è proteso verso l'alto, ascende, ma è ben ancorato agli stilemi della ballata jazz, ed è questo un pregio, perchè crea contrasto con il clima conferito al brano dalla ritmica, riconducibile al sound di "Bitches Brew" pur se con psichedelia praticamente assente.

2. "Duran" (1970); Davis (trumpet), Shorter (soprano sax), Maupin (bass clarinet), McLaughlin (electric guitar), Holland (electric bass), Cobham (drums) (10:58 min)

Andando verso il funk/jazz. Altra frase ipnotica di Holland, sorretta questa volta dalla batteria funk di Billy Cobham. L'elettrica di McLaughlin è rude, spesso hendrixiana, perfetta per l'occasione. Il tema è melodico, però anche ritmico, insomma è funk. Ecco le pause, come potevano mancare! Poi Davis prende il solo, e dopo un po' Cobham comincia a suonare di più, la dinamica aumenta, Miles in certi momenti ricorda molto Freddie Hubbard. Poi è il turno di John McLaughlin, attacca il distorsore e via. Assolo parecchio rock, proprio come il leader voleva in quel periodo, anche se la sua attenzione stava già passando dal rock bianco al black rock a tinte funk. E questo brano è proprio in mezzo, fa da ponte fra i due periodi del Davis elettrico. Shorter si mischia con Maupin (un'accoppiata che produrrà tanta grande musica), c'è un primo accenno alla folle frenesia che caratterizzerà "On The Corner". Il breve solo di Cobham è 95 per cento funk e 5 per cento latin, ma proprio una spruzzatina, due colpi qua e là. Poi Holland riprende, e si va verso la fine.

3. "Konda" (1970); Davis (trumpet), Jarrett (electric piano), McLaughlin (electric guitar), DeJohnette (drums), Moreira (percussion) (14:08 min)

Che brano particolare! Niente batteria (per un po'...), niente basso, un solo piano (e siamo nel 1970, periodo d'abbondanza di tasti bianchi e neri, anche se ancora per poco). Keith Jarrett fa il tappeto sul quale si muovono il tema e le sue variazioni, accompagnate e in parte raddoppiate dalla chitarra jazz in salsa Hendrix/Hazel di John McLaughlin. Non c'è incertezza, ma neanche aggressività. Ogni tanto Airto Moreira aggiunge colore, ed è maestro nel farlo, con quelle percussioni leggere, ma evocative. Poi, dopo quasi dieci minuti, DeJohnette attacca un semplice accompagnamento con la batteria, sempre ampliato dalle percussioni. Il ritmo prende il sopravvento, tutto diviene ritmo. Anzi, ci si rende conto che è sempre stato così, è sempre stato il ritmo il re della composizione, a questo con ogni probabilità mirava Miles, l'attenzione è dall'inizio tutta lì. "On The Corner" nasce da brani come questo. Diversa formazione, diverso anche il modo di suonare. Ma la prima idea, chi può dire se inconscia o no, il germoglio, è qui.

4. "Willie Nelson" (1970); Davis (trumpet), Grossman (soprano sax), McLaughlin (electric guitar), Holland (electric bass), DeJohnette (drums) (10:20)

La chitarra dà quel tocco orientaleggiante, Miles è poche note e molto ritmo (oramai la sua attenzione è per il black rock/funk degli Sly & The Family Stone e il soul/funk di James Brown). anche se ogni tanto si lascia a andare a momenti più pieni, senza mai perdere di vista l'aspetto ritmico, assolutamente predominante nel suo assolo e in tutto il pezzo. Il martello di DeJohnette è la base, Holland è un rinforzo, un giro funk, a volte un colore, una ripetizione, ma il succo è ancora questo: rhythm.  La sovrapposizione di Davis e Grossman è solo un accenno ogni tanto, per il resto è il sassofonista a fornire la prova migliore. "On The Corner" ora è all'orizzonte, e "Willie Nelson" fa capire come molto di quel sound venga da Steve Grossman. McLaughlin in brani del genere è come il cacio sui maccheroni. DeJohnette alza il tiro e Holland diventa più ripetitivo, ma la ritmica non perde nulla della sua solidità.

Per chiudere, "Directions" è una raccolta molto buona, meno altalenante di "Circle In The Round" (il voto è 3.5). I brani più riusciti sono "Duran" e le due title-track, ma essendo questa una raccolta, pur nella sua disomogeneità, meno disunita della precedente, è più difficile trovare brani che spicchino in maniera chiara sugli altri. Avrete capito da voi che il periodo interessato è soprattutto quello del primo Miles elettrico, anche più che su "Circle In The Round". E in "Directions" ci sono alcune delle cose più belle che Miles Davis fece in quella fase, e se non metto 4 stelline è solo per la sua natura non unitaria, di certo non perchè qui non c'è grande musica.

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