È una sera di febbraio dell'Anno del Signore 1964. Miles sale su un palco a New York. Il secondo quintetto. Cosa ve lo dico a fare, il paradiso.

Miles decide di cominciare facile. My Funny Valentine. Uno degli standard più famosi.

Di partire facile e un po' da stronzo. C'è già da un po' di tempo in giro Chet Baker. Suona My Funny Valentine. E la suona come un angelo. Un angelo maledetto, un angelo caduto. Ma un angelo.

Ma a Miles, di come la suona Chet, non gliene può fregare di meno. Suonerà come un angelo, ma solo perché gli angeli sono bianchi.

Miles, se decide di suonare uno standard, lo suona come solo lui sa fare. E tutti gli altri - da lì in poi - proveranno a suonarlo come lui. E non ci riusciranno.

Miles, anno 1964, una sera di febbraio, il secondo quintetto, accosta la bocca alla tromba. Ha deciso di partire facile. Ha deciso di partire un po' da stronzo. Ha deciso - come sempre - di essere MIles.

Sul morbido tappeto disegnato da Hancock, ad inizio brano, se le si va a risentire, le prime note della Tromba sono un po' tremolanti. È l'interpretazione, è il pathos, ci stanno bene, comunque.

Poi, dopo cinque o sei note, su una semplice scala ascendente, stecca. Stecca proprio di brutto, non prende la nota. Non gli viene.

E per un secondo mi immagino Herbie Hancock, George Coleman, Ron Carter, Tony Williams, che si guardano.

Su un palco di New York, una sera di febbraio del 64.

E si chiedono, con gli occhi, cosa facciamo adesso. E si rispondono non lo so.

Ma è solo un attimo, meno di un secondo.

Miles ritrova quella scala e spara un acuto liberatorio.

E ad accostare l'orecchio sembra quasi di sentire il sospiro di sollievo di quelli che gli stanno di fianco.

Si riparte, ed è meraviglia. Come sempre.

E dopo un po' ancora si sente Miles che non è mica proprio brillantissimo, che si perde un po' via, che non è lui.

E non fai in tempo a pensarlo che già si è ripreso. Che già ti sta buttando quelle note che solo lui. Che sono come scolpite. Come un monumento nel marmo.

Così, per quasi quindici minuti. Tremori e sospiri di sollievo, e meraviglie, e ricadute, e la forza di rialzarsi.

Fine, non lo so se tutto ciò sia vero, o me lo sono sempre soltanto immaginato. Da tanti anni mi chiedo cosa avesse Miles, quella sera di febbraio, su un palco di New York, nel millenovecentosessantaquattro.

Di sicuro, comunque sia, quella sera lì, Miles ha preso My Funny Valentine, partendo facile, partendo un po' da stronzo, e ne ha fatto una cosa - per me - indimenticabile.

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