Un'icona è un'icona, dipinta su tela o scolpita su roccia che sia. Per chi ha bisogno di un conforto per le proprie debolezze e paure di vivere può essere una madonna o un cristo, a Trapani così come a Rio, oppure uno Shiva per un pastore di Kathmandu o per un pescatore di Mumbai.

Ecco, i Misfits sono un'icona. Al di là dell'esserlo per la loro musica, il punk, o horror-punk, genere a cui appartengono. Al di là dell'esserlo per il loro look fatto di muscoli, creste cascanti e tatuaggi. Al di là dell'essere stata la vera prima band del cantante Glenn Danzig, ormai leggendario folletto della storia del metal, ibrido raccapricciante tra un aspirante Jim Morrison ed un Elvis sotto acido. Sono un'icona semplicemente perchè, senza sfondare mai le classifiche, hanno creato un sottobosco di cultori attraverso le generazioni, ognuno di loro sedotto da quell'approccio sporco e privo di virtù alla materia. Solo attitudine ed un teschio grande così. Diventato la loro icona e stampato dovunque. Poco importa se dopo soli due dischi e una vagonata di schegge di pochi secondi il gruppo si sciolse in seguito ai capricci di Danzig.

Il seme ormai era gettato e avrebbe attecchito nel corso del tempo, anche se loro sarebbero tornati a produrre musica per davvero solo dopo quattordici anni proprio con la pubblicazione di questo "American Psycho". Il microfono intanto è finito nelle mani scheletriche di un semisconosciuto ma adatto Michale Graves che spreme l'ugola sia nei tipici whooa-whooa che fanno da filo conduttore di tanti pezzi, sia negli assalti più trash e hardcore (vedi "Crimson Ghost", "Blacklight" o "Hate The living, Love The Dead").

A volte il fantasma di vecchie conoscenze riaffiora più evidentemente, come quando ti sembra di sentire gli Iron Maiden sputati sparare un loro riff di chitarra in "Mars Attacks" o quando risorgono dalle ceneri i Ramones e i loro cori appiccicosi in "Resurrection". Comunque perdoni queste licenze volentieri, ripagato da una manciata di piccoli gioielli come la stessa "Mars Attacks", "Shining" e in primis "Dig Up Her Bones", che fa un balzo in alto su tutte le altre e ha un coro perfetto da memorizzare e urlare...magari dalla tomba come da copione. Infine una traiettoria sbagliata c'è: la debole "Day Of The Dead", che, se non altro, incuriosisce per essere una progressione di accordi anni '50 rivestita da Halloween. Zero cervello, cento spasso.

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