Demolire per poi costruire

Questa è la filosofia musicale che i Mission Of Burma intesero abbracciare sin dagli inizi della loro carriera, cioè abolire le strutture, i suoni, le liriche convenzionali. Ciò riassumeva un po' gli intenti delle correnti post-punk e no-wave: rifondare il punk, appunto, e i Mission Of Burma lo fecero traghettando le sperimentazioni già avanzate dagli esponenti della no-wave newyorkese in un pop che talora rasenta il mainstream. Musica d'avanguardia, dunque, ma che si poteva ascoltare tranquillamente anche alla radio. Detto in questi termini potrebbe sembrare una contraddizione, un paradosso, ma è proprio questa l'essenza della musica dei Mission: un hardcore-pop che gradualmente si lascia sporcare da distorsioni, tribalismi, urla. Un noise rock suggestivo e alienante.

"Signals, Calls And Marches" (Ace Of Hearts, 1981) è un EP seminale, che contiene in potenza tutti gli aspetti caratterizzanti band indie rock degli anni '80 e '90 del calibro di Sonic Youth (in primis), Nirvana, R.E.M., Pixies, Fugazi. "That's When I Reach For My Revolver", in apertura, è un pezzo abbastanza semplice, che si regge tutto sulla melodia e sul basso di Clint Conley, che qui ritroviamo pure in veste di cantautore. In definitiva, sembra di ascoltare una canzone dei Wipers cantata dai Buzzcocks, ma così dannatamente attuale. Il resto dell'EP non avrà la stessa immediatezza dell'opener, ma trasuda genialità e innovazione. "Outlaw" può essere considerato a mio avviso il capolavoro assoluto del disco: fondato sulle contrapposizioni, e cioè il biascicare alternato alle urla, i ritmi scanditi e i tribalismi. Le liriche sono incomprensibili, il basso comincia a dissociarsi dal resto, a ricreare un'atmosfera surrealistica, che evoca i Pere Ubu e la no-wave, per l'appunto. "This Is Not A Photograph" è invece un hardcore psicotico-psichedelico a cui attingeranno gli Hüsker Dü di "Zen Arcade": fugace, sgolato, convulso. Il titolo, a detta del leader Robert Miller, sarebbe ispirato al noto dipinto surrealista di Renè Magritte "This Is Not A Pipe", per cui risulta facile comparare la surrealtà visiva del quadro a quella lirica peculiare dei brani di Miller. L'altro vertice del disco è "Red", una combinazione perfetta di rumore e melodia, un punk apocalittico che culmina nel ritornello, emozionante e commovente, e nelle linee di basso discorsive di Conley. Se "Red" dimostra concretamente come i Mission Of Burma abbiano insegnato a suonare hardcore senza perdere di vista la componente melodica, la strumentale "All World Cowboy Romance" sembra decisamente precorrere, con ben sette anni di anticipo, il sound di "Daydream Nation" dei Sonic Youth, con le due chitarre messe in primo piano (nella massima parte del brano, Conley suona la chitarra). Stupisce poi la freschezza di un brano come "Academy Fight Song", che potrebbe essere benissimo un hit single di una qualsiasi band indie rock di adesso. Le melodie di Conley imprimono difatti un'aria radio friendly al pezzo, che non riscosse particolare successo a suo tempo, ma che riuscì a definire le coordinate del college rock americano suonato da R.E.M., Lemonheads e Soul Asylum.

L'aspetto che contraddistingue i pezzi di Conley da quelli di Miller è la solarità, il calore pop con cui essi avvolgono l'ascoltatore. I brani di Miller sono invece pessimisti, malinconici, paranoici, in quanto fortemente ispirati dal movimento surrealistico-dadaista, che promuoveva appunto la filosofia del demolire e costruire.

"Signals, Calls And Marches" è profetico sin dal titolo; il «segnale» di come sarebbe stato il rock negli anni a venire. I Mission Of Burma avrebbero potuto nascere e morire con questo disco ed essere stati imprescindibili e influentissimi lo stesso, e invece no. "Signals, Calls And Marches" si rivelerà soltanto il preludio a quello che sarà il vero capolavoro della band, l'ancor più angosciato "Vs.".

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