In un’epoca segnata dalla fruizione rapida e superficiale della musica, questo album si distingue come un atto di resistenza. A un primo ascolto può sembrare semplice musica di sottofondo, filastrocche folk rivestite da arrangiamenti pop, ma svela presto una struttura profonda e stratificata. Le influenze elettroniche, talvolta giocose e surreali, evocano un universo zuccheroso e ironico, dando vita a un paesaggio sonoro che richiede attenzione, tempo e immersione. È una narrazione emotiva in forma musicale, ricca di contrasti, sfumature e livelli di lettura.
Il viaggio inizia con una sensazione di disagio e irrequietezza, emblematicamente racchiusa nel brano d’apertura Itching Under the Skin, dove il “prurito sotto la pelle” diventa metafora di un malessere interiore difficile da definire e ancor più da estirpare. Da lì, la tracklist si snoda in una sequenza di brani dai titoli evocativi, tracciando un percorso che attraversa stati d’animo complessi: prigionia interiore, disconnessione, resistenza, fino a lambire la speranza di un nuovo inizio.
L’anima dell’album si fonda sull’esplorazione di tematiche esistenziali e relazionali, sempre permeate da una sottile inquietudine. Il personaggio narrato nei testi è un uomo apparentemente realizzato, ma in realtà abitato da conflitti interiori persistenti, tra ciò che appare e ciò che si sente.
Musicalmente, l’opera è solida e coerente. I brani sono ben connessi, la struttura fluida e gli arrangiamenti curati nei dettagli. Le melodie, calde e analogiche, evocano il mondo sonoro dei Flaming Lips, con un gusto quasi da cartone animato postmoderno. Le canzoni mescolano glitch digitali, cori in falsetto e dinamiche irrequiete, muovendosi in equilibrio tra malinconia e ironia.
Si fonde la tradizione della scrittura intimista con una produzione elettronica raffinata, fatta di loop ipnotici, campionamenti evocativi e sintetizzatori atmosferici. Il risultato è un lavoro dal forte impatto emotivo, dove la voce si muove tra paesaggi sonori digitali e pulsazioni ritmiche che amplificano la narrazione interiore.
Il tono vocale, volutamente scherzoso in alcuni momenti, richiama il mondo delle filastrocche folk e si intreccia con elementi lo-fi che rendono l’ascolto più intimo e avvolgente. C’è una forte impronta postmoderna: satira del pop, parodia, ma sempre con una componente emotiva che impedisce qualsiasi deriva sterile o eccessivamente intellettuale.
Tra i momenti più riusciti spiccano Slipping e Let’s Start: il primo è un risveglio di malinconia elettronica, il secondo un inno al tentativo di ripartire, pur con “ombre ancora dietro le spalle”. Gli arrangiamenti elettropop, mai banali, fondono influenze disparate. Il cantante, a tratti, recita più che cantare, rinunciando a ritornelli canticchiabili in favore di una narrazione elegante e coinvolgente.
In conclusione, un’opera densa e stratificata, che esplora linguaggi meta-musicali e invita l’ascoltatore a partecipare attivamente al processo creativo della musica.
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