Nella vita bisogna fare delle scelte tra dovere e piacere e tra diversi piaceri tra di loro. Quando venni a conoscenza circa due mesi fa che i Mogwai avrebbero suonato in Italia, per tre date ad Ottobre, per il tour promozionale di “Every Country’s Sun” non volevo farmi scappiare questa possibilità, visto anche il buon feedback ricavato già dai primi ascolti dell’ultimo disco. Certo il periodo era un po’ complicato per via anche della mia laurea sempre più in avvicinamento e richiedeva una certa ponderazione la riuscita del progetto. Ma questa lacuna andava colmata, sarebbe stato peggio mangiarsi le dita successivamente.

Sciolta la prognosi positivamente il punto successivo era il seguente: ok i Mogwai ma dove andarli a vedere? Milano, Bologna o forse Roma? Avendo la residenza al di là dello stretto, capiterete che dovendo viaggiare con l’Eurospin dei cieli e fare comunque strada la scelta è relativa. Dopo un iniziale idea scarto Milano per la Capitale: volo più economico, è sabato (vuoi mettere con la solita sonnolenta serata?) e poi diamine non l’ho mai visitata! E pazienza se bisogna rimandare il set con Tycho (di stanza a Torino) e dei Dead Kennedys senza Jello (la mia coscienza in parte ringrazia) sempre nella città eterna e che suoneranno in contemporanea la stessa sera. Lo spettacolo potenziale promesso dei Mogwai era veramente alto.

Riguardo il concerto vero e proprio, decido di prendere il biglietto direttamente in cassa la sera, c’è fila si, corro magari qualche rischio, ma alla fine il sold-out è lontano, il locale prevede circa 3.000 posti, e risparmio che non fa mai male.

Per strada conosco due ragazze calabresi venute anche loro da lontano per assistere all'evento, si scambiano quattro chiacchere su vari gruppi musicali e scopro che anche loro sono state come me al Bayfest quest'estate.
Arrivato al locale, dopo una breve attesa, mangio un secco panino con hamburger ed entro dentro quando intorno alle 21 i Sacred Paws stanno suonando le ultime due canzoni del loro set. Non li avevo mai ascoltati prima e nemmeno adesso ho ben prestato orecchio in quei pochi secondi.

E’ chiaro che tutta la gente dell’Atlantico (locale situato in zona Eur) è lì per la band di Stuart Braithwaithe, Dominic Aitchison e compagni. Senza indugiare troppo alle 21.29 in punto gli scozzesi salgono sul palco, calici di vino in mano, breve cenno di saluto con il pubblico e attaccano con “20 Size” tratta dall’ultimo lavoro. Alla fine i brani estrapolati da “Every Country’s Sun” saranno ben 7 (manca stranamente all’appello “Coolverine”), tanti, forse troppi, ma per fortuna è solo un piacere vista la riuscita dell’ultimo progetto discografico che supera per qualità il precedente “Rave Tapes” recuperando dal passato il gusto per le chitarre in odore di zolfo e post-metal che danno vita ad un’esibizione deflagrante, e qui Martin ci mette lo zampino di brutto pestando a dovere, con una sanguinosa “Old Poison”.
Non ero mai stato ad un concerto post-rock e posso dire che il pubblico è molto variegato per età e genere. C’è molto raccoglimento, tanto silenzio, tanta concentrazione, poco movimento. C’è molta voglia di sognare ad occhi aperti e di lasciarsi trasportare dal forte vortice emotivo che arriva dal palco qualche metro più avanti. A creare tale vortice contribuisce molto anche le tastiere e gli effetti elettronici. E poi fanno “Rano Pano” che il pubblico apprezza ed il sottoscritto ancora di più e son subito lacrime. Non avrò visto i Kennedys, ma nulla è più hardcore dello scenario epico creato dalle distorsioni e dagli effetti noise che fuoriescono dalla strumentazione dei quattro. Del resto su qualche pezzo, meditazione a parte, ci sarebbe stato bene un po’ di movimento lì in mezzo.
L’unico pezzo veramente cantato è l’ultimo singolo “Party in the Dark” (inusuale fascinazione pop-shoegaze con tanto di forma-canzone) ma i Mogwai hanno carattere e caratura di ferro e sanno come far trasformare i loro strumenti in organismi senzienti fatti di carne ed ossa, ricolmi di sentimenti e creare squarci nel cielo facendolo sanguinare dall’alto. Riescono solo con l’ausilio degli strumenti a rivisitare buona parte dei generi e dello spettro di emozioni possibili, tra soffici sogni onirici, atmosfere dark (“Don’t believe the Fife”), dinamiche soft-loud ed esplosioni con volumi assordanti ("Battered at a Scramble" altro numero pescato dall'ultimo lavoro), quest’ultime vero marchio di fabbrica fin dal 1997. E le luci e la scenografia minimale reggono bene il gioco. Qualche dubbio forse rimane sull’impianto dei suoni.

Si chiude con il classico “Mogwai Fear Satan” 16 minuti di redenzione e di passione nel ventennale, proprio in questi giorni, di “Young Team”. E proprio sul fade-out lento e solenne che i quattro timidi scozzesi alle 22.58 escono di scena tra gli applausi dopo circa 1h 25m di set. La scaletta è soddisfacente anche grazie al ripescaggio di "Auto Rock" sospesa tra la delicatezza delle dolci note iniziali delle tastiera e asprità conseguente, una gradita sorpresa, nonostante sia l'unica carta pescata dall'ottimo mazzo di "Mr. Beast" disco del 2006.

Non rimane che uscire fuori, dove ritrovo le due ragazze, attendere il primo bus utile per la fermata metro più vicina per tornare al b & b. Ma poi in fondo mi rendo conto che sono solo le 23.40 troppo presto e allora via di nuovo al Colosseo e pazienza se ci ero stato la mattina. Sono esausto, è un giorno che cammino, ma mi ha fatto solo che bene.
Si torna nella Trinacria contenti di aver aggiunto un’altra bella cartolina all’almanacco dei bei ricordi.

Setlist

20 Size
I’m Jim Morrison, I’m Dead
Party in the Dark
Battered at a Scramble
Ithica 27ø9
Crossing the Road Material
Hunted by a Freak
Rano Pano
Don’t Believe the Fife
2 Rights Make 1 Wrong
Auto Rock
Old Poison

Encore:

Every Country’s Sun
Mogwai Fear Satan

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