Il passato in tempi incerti assume una colorazione tutta vivace nel suo ristagnare senza possibilità di evolversi, essendo passato, e non potendo avvalersi di un presente in evoluzione. E allora c'è chi mette le mani su momenti cristallizzati in attimi sparsi sulla linea della musica.

Apro il pacchetto e trovo questa copertina notturna, un leone si aggira in una landa, è buio, è qualcosa di primordiale. L'opposto di una città in cui si snodano macchine che lasciano scie e luci in una giornata uggiosa, nella quale i palazzi svettano come dolmen di civiltà in lento declino, che tendono già quasi ad essere solo passato, senza aver più granchè da dire. 

Sfilo il vinile dalla sua confezione ed è già un momento perso in un calendario che non segna l'anno 2011, oppure lo segna e non riesco bene a leggere. E' un'azione che probabilmente, alla mia età forse, aveva già fatto mio padre con un disco degli ELP, che già allora andavano a ripescare nei ricordi, Emerson recuperava melodie atemporali, la cui eternità andava sporcata e legata con dei cavi che entravano in enormi sintetizzatori, ed entravano nelle orecchie di mio padre e di migliaia di altri nostalgici futuribili futuristici giovani. E io sono nella stessa situazione oggi.

Alzo il coperchio trasparente del mio giradischi, cuffie già alle orecchie, e appoggio Earth Division EP dei Mogwai sul piatto, alzo il braccetto e posiziono la puntina. Mi siedo per terra, un pianoforte, "Get To France" è più Chopin che il morente postrock di cui tutti parlano (tutti? davvero tutti?). Gli occhi vanno rigorosamente chiusi, un clichè, giusto per un momento così atemporale. Mi sembrano duecento anni fa che compravo Rock Action, in un negozio di dischi che ERA perchè ora non c'è più, e invece sono solo dieci, e poco prima avevo comprato pure Kid A. Entrano gli archi, la melodia si apre e un synth dal suono di carillion si affianca alle note delicate e notturne del piano, e si muovono verso lo spazio, lo spazio di un altro tempo. "Hound Of Winter" è come camminare sui tetti, è POPolare, un canto delicatissimo che accarezza una chitarra classica e le fisarmoniche e gli archi e vedo il sole che sorge in un cielo grigio, una stella sola e ferma, il tempo è l'indiscusso protagonista "Times Hides Things/Lies Hides Things/I hide things/I break things/I forget/I fall way/I'm tired", e più ci penso, più penso che anche io sto cadendo da qualche parte, e rompo le cose (camera mia è piena di cose che sono andate in pezzi, una di queste sono io), e perdo di vista le cose, lo stiamo forse facendo tutti, perchè accelleriamo senza curarci di poter frenare, anzi, compriamo macchine senza freni. E come un nastro tutto si snoda verso l'evoluzione, volente o nolente, sta poi a noi decidere se portarla a termine o lasciarla languire su un letto, poltrire fino ad impolverarsi, così nascono i movimenti di "Drunk And Crazy" dove il fuzz delle chitarre, il fuzz delle elettroniche, e forse anche delle "percussioni" aliene, forse in fuzz anche quelle  vanno a gettarsi in bocca ad un violoncello che introduce la piccola orchestra nel palazzo del futuro, il pianoforte torna ad essere l'assoluto protagonista di una straziante canzone che infila le dita di prepotenza nel sintetico ritorno del fuzz, la pazzia e l'ubriachezza e la tristezza e l'incertezza diventano forza e annegano in un mare freddo freddo.

E alla fine si deve sempre tornare a casa dopo un viaggio, alla fine bisogna sempre smettere di pensare a prima e cercare di pensare a dopo, trovare ciò che siamo stati fino ad oggi, ciò che abbiamo suonato ed ascoltato fino ad oggi e a trasformarlo in qualcosa di ancor più nostro, ancora più vicino alla lontananza del nostro pensiero, può questo accadere sempre? è una domanda che non puoi non porti, è un momento da cui non puoi sfuggire. E' l'eterno ritorno.

La puntina si alza. Io però non ho voglia di farlo, rimango lì seduto, con le cuffie che mi premono contro le orecchie, e un silenzio vagamente ricostituente si fa strada attorno a me.

L'hardcore forse è davvero morto. E io?

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