Nella notte, quando le membra dondolano leggere sulla schiuma bianca del sonno, tutti i quadri appesi negli abbaini iniziano ad urlare, le bocche si spalancano e vomitano la foga repressa che popola il giorno, quando i corpi e i paesaggi rimangono schiacciati sulle tele senza potersi muovere. Urla l'intera teoria di fotografie dell'infanzia, e Rosabella mentre arde nel fuoco, urla il pavimento di graniglia levigato dall'incuria del tempo e urlano le carte da parati con gli steli degli asfodeli intrecciati come greche e tutti gli arabeschi che adornano il soffitto, prima che questo crolli e celebri l'attesa catarsi ove l'ultima necessaria cura è il rumore bianco.

Il nuovo corso dei Mogwai è quello che celebra la liturgia dell'urlo, quasi dimentico dei graffianti inizi che nella seconda metà dei '90 esaltarono il post-rock tra chitarre distorte e lunghe cavalcate dalle venature shoegaze: le bassline adesso si avvalgono molto di più dei synth e degli arrangiamenti elettronici, così al magma furioso della dissonanza si è sostituita la fiamma vibrante dell'emotività. In "Every Country's Sun" i quattro cavalieri scozzesi urlano come pellicani che si dilaniano il petto per farne libagione per i figli, sia che lo facciano per mezzo del roboante crescendo del maelstrom di "Coolverine", sia che lo esprimano attraverso il pathos sprigionato dal poema elettronico di "Brain Sweeties". Ci sono certo dei momenti di spensieratezza (l'insolita cantilena shoegaze di "Party in the Dark") e i consueti ammiccamenti al passato (le distorsioni noise di "Battered at a Scramble"), ma non si può non considerare come paradigma del nuovo sentire mogwaiano la mini-suite di "Don't Believe the Fife", in due movimenti distinti la cui sequenza accenna prima un ondivago acquerello ambientale à la Eno per poi dirompere nel consueto shock emotivo orchestrato dai cordofoni e dalle percussioni, in un crescendo che, a ben vedere, ambisce senza remore a squarciare il cielo.

Il fragoroso stridore è alla sua acmè mentre "Old Poisons" imperversa con la sua forza oscura e venefica liberando onde elettromagnetiche dalla frequenza maggiore del valore critico con cui fendono la ionosfera. L'urlo alle prime luci dell'alba sta perdendo il suo argento vivo giacché liberatosi dalla prigionia del suono degli strumenti, si è disperso nell'esistente e vaga adesso come un'eco dorata e ialina.

È l'ora del dormiveglia e le membra baciate dalla schiuma bianca del sonno sono ormai dimentiche del frastuono che aduggiò la notte più dolorosa dell'esistenza. Non rimane che la diafana quiete di "aka 47" a ricolorare di preziosa ambra la teoria dei quadri negli abbaini, i tavoli imbanditi con le foto di gioventù, il pavimento dai fregi antichi e i bei fiori intessuti sulle pareti.

Anche gli arabeschi risplendono finalmente di nuova luce.

Del sole di ciascun paese.

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