Pensate che il Viking sia esclusiva prominente di band come Ensiferum, Amon Amarth, Borknagar e compagnia andando?
Vi sbagliate di grosso e, nello specifico, occorrerebbe quantomeno ridimensionare il valore di queste già nominate, e seppur eccelse band. Sì perché il loro primato è ormai insidiato da questi cinque aristi finlandesi, il cui moniker "Moonsorrow" fu più azzeccato che mai.

La loro musica è una commistione affascinante e mai banale di Black Metal della più ferale e minimale scuola, che prende spunto, tra gli altri, per esempio, da Emperor prima maniera e Burzum, e lo miscela con sapiente cattiveria ed epicità ad un folclore norreno davvero strepitoso. Se a tutto questo si aggiunge poi che i Moonsorrow, evidentemente consci della lezione ormai banale quasi a dirsi, secondo cui per comporre ottima musica non serve solo pigiare sul pedale dell'acceleratore o magari intercalare tra le parti massicce iniezioni di Power, ma serve anche e soprattutto "il sentimento", allora il gioco è fatto, e tra le mani, se avrete la fortuna e la buona volontà di procurarvelo, quando ascolterete questo "Verisäkeet" (che significa "versetti di sangue"), ne rimarrete estasiate, sempre, beneinteso, che vi streghino i paesaggi nordici, le terre ghiacciate e desolatamente deserte, i fantasmi che si muovono al limitare delle foreste nella notte boreale, ecc. ecc.

Forse però, anche per chi non è tanto avvezzo a queste cose, questo album potrà sembrare un esempio eccelso di intelligenza, attaccamento alla propria terra e alla propria cultura, e inventiva di soluzioni mai noiose e mai stancanti, seppure la durata del disco, di circa settanta minuti per sole cinque tracce potrebbe far sospettare, ma, in questo caso, niente di più sbagliato ed abbagliante: i pezzi sono tutti e cinque strutturati in una maniera maestosa ed intricata, con frequenti attacchi "alla baionetta" ma mai caotici, pur intingendo il proprio "nero senso" nel Black Metal, seppure svilendolo e trasformandolo in lunghe ed epiche saghe, dove l'immedesimarsi in quei paesaggi già detti, e in quelle atmosfere, è d'obbligo, ed il bello è che, oltretutto, avendo la musica una enorme caratura ed un peso suo impressionante e valido, non è nemmeno troppo difficile concentrarcisi o ascoltarlo chissà quante volte: le note vi cattureranno da subito, senza che possiate opporgli nessuna resistenza, potendo solamente rimanere asfissiati dall'alta tensione tragica che è il filo conduttore del disco e poi, afferrarvi alle ali del grande viaggio ancestrale che questi Moonsorrow propongono.

Gracchiare di corvi, sibili di vento, chitarre acustiche date in una frequenza intensa e struggente che s'accordano a bui sospiri nella foschia accecante degli inverni senza fine, del crepitare del fuoco, con le sue fiamme che lambiscono l'aria gelida facendola schiava; a volte, lo Scream isterico ed acido di Ville Sorvali che non fa altro che sottolineare la paura, la tristezza, la catastrofe di popoli abituati a combattere valorosamente che si sono visti defraudare la loro cultura e le loro "Antiche Abitudini" da genti a loro estranee, in tempi che nemmeno la scrittura ricorda più, e che solo una casta di eletti, di persone animate da un senso "alto" e profondo delle proprie radici intende perpetrare.
Non dico che i Moonsorrow siano tra questi, ma certamente l'intensità, la vibrante e tragica passione, l'epicità apocalittica che profondono in questi cinque brani, certamente potrebbe far pensare che "non tutto è perduto, che non si è finito ancora di combattere".

Che cosa posso dirvi, dunque, d'altro ancora per convincervi ad acquistare, a procurarvi in qualunque modo questo album?
A nulla servirebbe il parlarvi di ogni canzone, solo perché non vorrei togliervi l'enorme e spiazzante sorpresa che potreste trovare ascoltandolo, e dunque mi affido alla fiducia e alla buona volontà di chi ci si vorrà provare e che certamente, ne sono convinto, non ne rimarrà deluso. Una promessa questi Moonsorrow. A buona ragione credo che molto presto se ne sentirà parlare più di quanto già se ne sente abbondantemente.

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