Jimmy? Gli dei me ne scampino e liberino, Morgan è molto meglio ed è pure più bello! Suvvia dai, concedetemi il piacere di un'innocente, sana, liberatoria, blasfema nonchè iconoclastica provocazione, tanto ormai sono dannato senza possibilità di redenzione alcuna, non c'è modo di farmi ritrattare o rettificare la mia prima affermazione, e la seconda altro non è che un oggettivo dato di fatto. Ok ok basta, cos'è che volevo esternare a questo giro? Ah, ora ricordo, la mia intenzione originaria era quella di iniziare la presente recensione con un quesito: "Cos'è che rende un album pop dance bello, interessante e degno di essere ascoltato?" Pop dance, proprio così, ultimamente il trend generale dei miei ascolti và in questa direzione, sarà la primavera ormai alle porte, sarà quel che sarà. Mi piace considerarmi un ragazzo schietto e più attento alla sostanza che all'apparenza, e questo lato del mio carattere si riflette anche sulle mie preferenze in materia: Per chi ancora non ne fosse a conoscenza, io detesto con ogni fibra del mio essere Madonna, Lady Gaga, Kylie Minogue e derivati assortiti, mi fa vomitare la loro ruffianeria, la boria, la sicumera, le doti canore pari a meno di zero, la grancassa mediatica che le sostiene, i deliri di onnipotenza e le ridicole pretese di "alternatività" sia in termini di immagine che musicali. Al contrario, adoro l'intensità, i ritmi potenti, vivi e organici, la raffinatezza ma senza fronzoli inutili e una certa misura di equilibrio, buon gusto e sobrietà, pilastri fondanti di questo gioiellino pop annata 2012.
Quanti bravi artisti ho scoperto esplorando quella scena semisommersa etichettata con gli appellativi più disparati: house, techno, trance, funktronica, musica da club, musica da discoteca: i Chromeo, i Sound Of Arrows, Ferry Corsten, Little Boots e il qui presentato Morgan Page. Per quanto riguarda sottogeneri e classificazioni specifiche ammetto la mia ignoranza, per me questi signori fanno semplicemente ottima musica pop, ognuno a modo suo. Di Morgan che dire, nato nel 1981, americano del Vermont, DJ e produttore. La sua musica viene tendenzialmente classificata come "progressive house"; un'etichetta che, qualunque cosa voglia dire di preciso, non mi sembra particolarmente indicata per quest'album nello specifico: il termine progressive lo associerei con più facilità a Ferry Corsten, con i suoi brani di 6/7 minuti molto scenografici, strutturati e spesso unicamente strumentali, qui invece non ci si discosta mai da una canonica forma canzone. Cose semplici quindi, ma fatte veramente come gli Dei comandano.
Il signor Page si affida generalmente a vocalist femminili nei pezzi più upbeat e maschili in quelli d'atmosfera, sempre con riscontri gradevoli e positivi, ma nel complesso non è sicuramente la voce/le voci il motivo per cui si apprezza un album come "In The Air"; direi piuttosto per l'atmosfera e la carica di energia che riesce a trasmettere. "Body Work", "Loves Mistaken", "Gimme Plenty", "Video", un sound elettronico pieno, corposo e, perchè no, frivolo, speziato e sexy quanto basta. Il "perchè" dell'album sta soprattutto in episodi come questi, che oltrettutto sono solo dance, punto e basta: nessuna invadente contaminazione hip-hop, urban o altre american-tamarrate del genere, e anche questo per me è un grande valore aggiunto. Con una base solida come questa Morgan Page può rielaborare e sperimentare variazioni sul tema in tutta tranquillità, proponendo soluzioni interessanti ed efficaci come l'iniziale titletrack "In The Air", giocata di ritmi e sonorità trance in stile Corsten, dal mood piacevolmente visionario e magniloquente, midtempos intriganti come "Carry Me" e "The Actor", episodi dagli influssi leggermente soulful nel cantato come "The Only One" e la ballad "Addicted". Una scaletta varia e completa, canzoni che stanno insieme alla perfezione, andando a formare un discorso unitario, coerente, armonico.
E poi? Ah, già, c'è anche una cover di "Message In A Bottle". L'originale mi provoca pruriti e irritazioni un po' dappertutto (eh già, omai l'inferno non me lo leva proprio nessuno), ma in questo caso è veramente tutta un'altra storia: il piacevolissimo cantato smooth di Morgan, synths morbidi e avvolgenti che smussano ogni spigolosità, un uso sapiente e azzeccato di filtri ed effetti vocali, perfetti per arricchire l'atmosfera elegante e levigata della rielaborazione. Questa è veramente una cover a regola d'arte, Robin Page è riuscito ad impossessarsi completamente di qualcosa di non suo e rileggerlo con grande maestria in chiave personale. Un valore aggiunto inaspettato per un album ottimo di un artista interessantissimo, che qui dimostra una personalità ben definita, grande feeling con la melodia pop e una cura del suono veramente impeccabile, che tuttavia non degenera mai in stucchevoli patinature. Le canzoni di "In The Air" conservano un vago ma indispensabile retrogusto di "rustico", di dancefloor, energia e autentica passione; è un disco leggero in tutti i sensi, soprattutto per l'assenza di quell'ammorbante e indigesto sentore di letamaio hollywoodiano che, complici i mass media, viene generalmente associato al pop odierno made in USA.
Elenco e tracce
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