"And we're never gonna find the answer in a normal way
Staring at the walls of life, soon they will decay
Is our life just decadence or selfish style
Are we just numbers in a forgotten file
"

From the opener "RESISTANCE"

Il tempo non guarisce né rende giustizia (come scrive il buon Gene Hoglan per i suoi Dark Angel di "Time does not heal"), così sepolti dal tempo e dalla polvere nessuno si ricorda più molto di uno storico act tedesco fautore di 4 fra Ep e Lp a cavallo della fine anni ‘80/inizi anni '90, i Morgoth.

Attivi fin dall'86, è solo con l'entrata in formazione dello storico biondo e corpulento screamer Marc Grewe che la band prende in mano il proprio destino e pubblica il demo, poi ristampato, "Pits Of Utumno", e desta l'interesse nientepopodimenoche della Century Media, che li metterà sotto contratto, mantenendo questo sodalizio fino allo split del gruppo.

Musicalmente i Morgoth proponevano inizialmente un thrash tipicamente teutonico nel quale si intersecavano notevoli strutture di chiaro stampo death metal, di derivazione Death/Possessed, un notevole gusto per l'immaginario splatter e gore e molta ferocia autoctona, data anche da un cantato che ricordava un pò il buon vecchio John Tardy degli Obituary.

Ma con il passare del tempo e dei lavori pubblicati (in verità solo due corposi Ep cioè "The eternal fall" e "Resurrection absurd"), i nostri virano prima verso un death più ortodosso ed horrorifico con il primo vero e proprio full lenght, "Cursed" ("Opportunity is gone" e "Body count" ne sono un chiarissimo ed ottimo esempio) edito nel 1991, per poi letteralmente stupire tutti i fan, già numerosi con un album come "Odium", che mi appresto a recensire.

Le visioni di un futuro apocalittico e funesto, la meccanizzazione dell'anima, l'industrializzazione dei suoni presenti nel seminale "Renawal" dei Kreator, si riversa nella rabbia primordiale dei Morgoth, che metabolizzando la lezione inferta da Petrozza&Co, la rendono personale e se possibile ancora più cupa. Il ritorno a partiture più thrash oriented ben si confà all'uso di campionamenti di materiali metallici e a stacchi che ricordano gruppi post industrial come i Prog, ma la potenza e l'espressività non mancano mai. "Odium" (e il titolo la dice lunga) trasuda odio, frustrazione, disillusione, violenza espressa con perizia, tecnica e notevole pulizia dei suoni e dell'esecuzione. Non ci sono filler, ogni song ha un suo perché, ogni bravo sprigiona il suo voler essere, il suo feeling, le vocals, ancora più laceranti del solito (e qui addirittura possiamo tirare in ballo anche alcune radici hardcore), si fanno meno gutturali e forzatamente death e sputano testi davvero sentiti che lasciano ogni velleità fantasy/gore, per parlare di attualità ed espedienti personali.

Ai tempi fu coniato il termine "Industrial Death" per catalogare il genere proposto dai nostri, ma come sappiamo non per forza di cose tutto deve trovare una classificazione, una massificazione, anche perché non è per niente facile dare un'etichetta certa per songs come l'opener "Resistence", una vera mazzata nei denti, o la psicotica e cangiante "Submission" od ancora alla discordante "Drowning Sun" o alla ipnotica e conclusiva title track.

In definitiva posso tranquillamente affermare che, a parte essere stato uno dei top album di categoria del '93, questo "Odium", oltre a risultare come massima espressione artistica proposta dal combo tedesco, merita di essere disseppellito dai polverosi scaffali dove da quasi quindici anni ormai giace. Dategli una possibilità, vi stupirà.

Elenco tracce e video

01   Resistance (04:49)

02   The Art of Sinking (03:33)

03   Submission (05:13)

04   Under the Surface (05:22)

05   Drowning Sun (05:13)

06   War Inside (04:40)

07   Golden Age (07:13)

08   Odium (06:16)

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