Mostly Autumn? Che roba è, una linea di cappotti? Scoperti quasi per caso un po' di tempo fa, grazie al suddetto album, "Passengers" (di cui, a dir la verità, mi incuriosiva la copertina...), hanno rappresentato per il sottoscritto una (a tratti piacevole) sorpresa.

Alla ricerca di un contraltare moderno, ma possibilmente in linea con le strutture tipiche del tempo, al progressive anni ‘70, qualcosa che si diversificasse dall'originalità (e unicità) compositiva di sua maestà Steven Wilson (Porcupine Tree), ed al contempo non subisse contaminazioni esterne (leggi rock estremo, varie ed eventuali), ecco apparire la magnifica Heather Findlay (cantante e chitarrista) e il gruppo a seguito. Tentar non nuoce, dice il proverbio, e allora... pronti, via!

Punto primo: quanti sono? I componenti del gruppo, intendo. Perché tra prime voci e voci di supporto, maschili e femminili, il numero (solo il numero per carità, niente incomprensioni o mistificazioni!) di timbri differenti (cinque) rimanda addirittura a "Knots" dei fantastici Gentle Giant. Ad ogni modo, poco importa, entriamo nel vivo. Uhm. Un momento: questo non è propriamente rock progressivo. O meglio, lo è, ma scordatevi Canterbury e annessi, siamo più vicini a Pink Floyd e Genesis. Già, quel progressive contornato da space-rock e sottili tratti psichedelici, ma c'è dell'altro. C'è del folk, del folk celtico, che talvolta diviene così accentuato da non riuscire a comprendere effettivamente chi influenza cosa. Violini, violoncelli, flauti, il misterioso "feadòg" (una sorta di flauto caratteristico), cornamuse irlandesi, bouzouki (che non è una storpiatura di "bazooka", ma semplicemente un tipo di mandolino, anch'esso folkloristico), contribuiscono a creare atmosfere suggestive, talvolta medievali, talvolta barocche.

E' il caso della ballad "Another Life", o di "Simple Ways", arricchita da una sezione finale imponente, ove cori lontani intrecciano melodiche linee di flauto e tastiera, il tutto esaltato da un attivissimo Gavin Griffiths (batteria), ben supportato da molteplici, variopinte percussioni. "First Thought" sfrutta a pieno le potenzialità vocali della Findlay, con sonorità vicine a "Wish You Were Here" e "The Wall" ma, a onor del vero, rimane un po' in superficie. "Caught In A Fold" e la sua liberatoria chiave maggiore, fiati a trainare il pezzo, nelle atmosfere, ricorda i migliori Cranberries, non fosse per una struttura più particolareggiata e "viva", rockeggiante.

Con "Distant Train" e "Answer The Question", collegati, si è trasportati ad un secondo livello, un livello elevato, di passione, classe e stile. Il primo brano, strumentale, rapisce l'ascoltatore, portandolo con sé in un pittoresco affresco di paesaggi nordici (complice un suggestivo intervallo "celtico"), ove ogni secondo arricchisce di diverse sfumature il ritratto che egli è intento ad osservare. Trasportati da un fiume in piena, ci si "immette" letteralmente nel secondo brano, poggiato sul dolce Hammond di Iain Jennings, che delizia anche grazie al pianoforte. Findlay e Josh (voce, chitarra) duettano, due anime diverse, stilisticamente contrapposte (come "question" ed "answer"...). "You're here, and will be for all the time", ed infatti il finale è sfumato, quasi a rendere un senso di continuità, perpetua. "Passengers", la title track, è un ballad di oltre sei minuti, sorretta ancora una volta da un'Heather Findlay ispiratissima, ed un assolo di Josh che, per impatto emotivo, si colloca forse al primo posto, nell'album.

Ed ora, dulcis in fundo, "Pass the Clock", 12 minuti suddivisi in tre momenti, di rara bellezza. Duetto iniziale a tratti sussurrato, i fiati accompagnano la chitarra di Josh, un lento affascinante e rilassante. Irrompe un "progressivo" Jennings, che sorprende, assieme a Josh, rimasto "solo", ed estremamente teatrale nell'interpretazione del cantato, un crescendo che viene spezzato per fare spazio a nuove (innovative?) atmosfere folkloristiche, un nuovo duetto, una ripresa della parte iniziale; Chris Lesile al violino e Troy Donockley alla cornamusa vivono momenti brillanti, c'è tempo per un assolo coinvolgente di tutti gli strumentisti (di stampo Genesis), ed un finale struggente.

Album che "trasporta" l'ascoltatore, quasi fosse, appunto, un passeggero, alla scoperta di paesaggi e locazioni nascoste, bellissime. Se non si considerassero originalità e impatto, probabilmente un disco si sopra la media, ma nemmeno troppo, naturalmente elevato (prepotentemente) da alcune perle ("Pass the Clock" e le altre citate). E siccome, nell'indecisione del voto (3 o 4 stelle?), s'inserisce il fatto che il gruppo è poco conosciuto, e tuttavia decisamente migliore di altri più blasonati e considerati... propendo per la seconda opzione.

Elenco e tracce

01   Something in Between (03:52)

02   Pure White Light (04:33)

03   Another Life (04:36)

04   Bitterness Burnt (04:56)

05   Caught in a Fold (03:52)

06   Simple Ways (06:13)

07   First Thought (04:46)

08   Passengers (06:05)

09   Distant Train (04:50)

10   Answer the Question (05:01)

11   Pass the Clock, Part 1 (02:40)

12   Pass the Clock, Part 2 (05:49)

13   Pass the Clock, Part 3 (03:38)

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