Con “Tomorrow Hit Today” il gruppo di Seattle si congeda dal secondo millennio. Il disco non delude le aspettative dei fan più accaniti e presenta un suono fedele al trascorso del gruppo, senza tuttavia cadere nella tentazione di ripetere la formula del fortunato “My Brother the Cow”.  Il risultato è la percezione di svariate novità dovute a strane alchimie tra generi musicali, poi gettate nelle pelli ossessive e nella colata elettrica distorta del suono tipicamente “mudhoneyniano” (filo conduttore  e ossatura del disco). Nel calderone la poltiglia è nauseabonda ma omogenea, le parti dure degli ingredienti raggiungono la superficie ma il loro sapore originario non è più riconoscibile e il tutto si mischia in maniera solo in apparenza caotica.

Il disco si apre con la memorabile “A Thousand Forms of Mind” vero e proprio tormentone e oramai consolidato classico del gruppo. Con la successiva “I Have to Laugh” e la crescente tensione (ma senza botto finale) di “Oblivion” i nostri ricalcano con efficacia linee già tracciate in passato. Seguono forti richiami di garage in “Try to be Kind”, il punk dichiarato di “Poisoned Water”, lo stordimento di “This is the Life”, la ben celata new wave in “Night of the Hunted”,  il bluesaccio di “Move to the Wind”, i vaghi ritornelli della tradizione hard in “Ghost”. Echi di armonica al tramonto nella strumentale “I Will Fight no More Forever”. Infine, il punto più alto del disco nella finale “Beneath the Valley of the Underdog”: durissima, onirica e cupa, rimanda e quasi supera l'attitudine di un certo (o meglio, presunto) “seattle sound” di fine anni Ottanta che affondava le sue radici nel metal. Come appendice, una vivace traccia fantasma chiude un disco piuttosto valido, sebbene non all’altezza dei lavori precedenti.

Gli scarsi risultati economici e l’ostinazione del gruppo pongono fine alla collaborazione con la major Reprise.

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