I Mumford & Sons tentano la carta dell’ultimo passo, quello della definitiva maturazione, e lo fanno con questo nuovo “Delta”, quarto album in studio della formazione britannica.

Baciato da un successo praticamente istantaneo già con il loro lavoro d’esordio, il quartetto londinese arriva a questa nuova prova dopo tre album arrivati agilmente in vetta a quasi tutte le classifiche mondiali (l’ultimo “Wilder Mind” del 2015, seguito un anno dopo da un interessante ep registrato durante il tour sudafricano della band e ricco di collaborazioni con artisti locali – Baba Maal, Beatenberg e i The Very Best) e con un certo carico di aspettative da parte dell’ormai nutrita schiera di fans acquisita negli anni.

C’è da dire che non tutti avevano ben digerito la svolta simil indie rock del precedente “Wilder Mind”, e le fotografie di strumenti più tradizionali provenienti dallo studio di registrazione avevano fatto sperare i fans storici in un ritorno al sound folk che aveva fatto la fortuna della band londinese. In realtà, i Mumford confermano di non essere più quella band anche stavolta, confezionando un disco ricco e variegato che solo in parte fa ricorso a quella tipologia di arrangiamento: se ne trova traccia nel primo singolo “Guiding Light”, uno dei pezzi più belli del disco, dove però la strumentazione folk è solo un pezzo del puzzle, composto anche da suoni più ricercati e corposi che conferiscono al brano un’epicità molto marcata.

Epicità che si ripete sovente in tanti altri brani del disco, dal crescendo azzeccatissimo della titletrack, di “42” e del secondo singolo “If I Say” alla cinematica e bellissima “The Wild”, che a tratti suona come una colonna sonora di Hans Zimmer; ci sono anche brani che rappresentano un parziale ritorno alle origini, ad esempio l’intensa “Beloved”, per la gioia dei suddetti fans della prima ora. E poi i Mumford si permettono anche di osare con la sorprendente “Darkness Visible”, dal crescendo audace e insolitamente rumoroso (per la band in questione) che si divide tra strumentale e spoken word, aprendo un’importante finestra su di un futuro verso direzioni insolite.

Il produttore Paul Epworth, volpone che salta con disinvoltura da Adele a Thurston Moore, riesce a mettere ordine con discreto successo in un mare di sonorità molto ricco, a tratti forse troppo. Il suo apporto è fondamentale nello stratificare a dovere e senza esagerare un sound già di per sé ben delineato.

Era diffficile gettare nel calderone così tante intuizioni e fare centro pieno: i Mumford & Sons riescono nel portare a termine la “missione età adulta” già con questo disco, sancendo la definitiva maturazione di una band che finalmente trova definitivamente un’identità ben precisa.

Brano migliore: Darkness Visible

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