Nel 1984 il punk non è come spesso ci si immagina. La scena di fine anni '70 è già bruciata, veloce come il fiammifero che ha accesso tonnellate di sigarette. Il filone folk punk non è ancora maturo, mentre quello hardcore è già nato da qualche anno e gruppi come Minor Threat, Agnostic Front o Dead Kennedys stanno spopolando, parallelamente alla nascita del thrash metal, dei primi vagiti black e ai numerosi elementi-ponte come i Motörhead. Ma quella che spesso ci si dimentica è, sempre nascente verso questi anni, la scena Oi!. La scena street punk pone in buona parte le sue radici nella cultura skinhead, la quale a sua volta ha un'origine intricatissima di generi e subculture, mischiando ska, rude boys, calcio, mod e lavoro operaio: una formazione culturale che nel tempo si è ormai persa nelle miriadi di avvenimenti, ma che al tempo doveva ancora decidere i suoi grandi sviluppi. Dopo una prima ondata più radicata nella musica ska e su primi vagiti rock propriamente detti (lo spirit of '69), negli anni '80 la spinta punk più dura dà nuovi natali alla ribellione skinhead, che trova terreno fertile perché la sua attitudine schietta e non esattamente accomodante si sposa con il nascente movimento: se inizialmente non tutti comprendono l'unione dei movimenti, presto skinhead diventerà praticamente sinonimo di rock robusto, non ricercato, sentito e duro: in due parole street punk. E proprio i Nabat scriveranno alcuni dei manifesti dell'unione tra i due gruppi.

In Italia infatti il punk trova terreno fertile, anche se non in dati di vendite: la nazione ha impressi gli anni di piombo, abbondano scioperi, manifestazioni, il malcontento è grande, la classe politica non si dimostra vicina alle classi povere e il perbenismo la fa da padrone. È proprio qua che la reazione dei Nabat si inserisce: uno dei primi, diciamo, gruppi Oi! propriamente detti al livello internazionale, il loro sound non è facilissmo da inquadrare. È ancora abbastanza vicino a quello della prima ondata skin e non è ancora rinforzato dal riffing muscolare e heavy metal-oriented che nella decade successiva diventerà la norma tramine Colonna Infame Skinhead, Banda del Rione e altri, al punto che oggi quasi nessuno suona Oi! puro ma tutti, pensiamo a No More Lies o Zeman, suonano sfumature Oi!-core, o streetcore che dir si voglia. Il primo Oi! infatti, Cock Sparrer e simili, ha una concezione vicina a quella di pub rock, non sempre è uno sfogo violento ma spesso funge da distrazione e narrazione della vita degli sbandati. "Shock troop", per esempio, ha sonorità tutt'altro che estreme, nonostante si avverta un'energia che sicuramente dal vivo rende. Un po' in effeti sta qua un difetto dei Nabat: la loro formula da disco appare un po' spompata, senza batteria in controtempo a 180 bpm e senca riff schizzati. Ma adattandosi un po' si riesce a superare questo difetto di arrangiamento-produzione-registrazione e ci si può lasciare trascinare dalla furia di Steno e soci. Sono uno di quei gruppi che hanno veramente un loro stile, pure in un genere scarno come l'Oi!: complice la loro grafica minimale e in bianco e nero e la timbrica del mitico Steno, i Nabat sembrano star suonando in un sottoscala di un qualche edificio di periferia. I cori sembrano cantati da un gruppo di pirati incazzati e ricorda quasi quelli che si sentono nel "Rock del Capitan Uncino" e nell'atmosfera che si crea si respira ribellione, rabbia, si respira polvere di palazzi abbandonati e bretelle tirate su.

"Laida Bologna" apre l'EP impostando una matrice impegnata che si inserisce nel filone di "confusione politica" che da sempre caratterizza il movimento skinhead, con dei buoni cori e una melodia che resta in testa. L'iconico intro di basso apre la schietta "Potere nelle strade", nuovamente giocata su una strofa lineare e un coro dove nella ripetizione finale del verso "...potere nelle strade!" si intravede la poca attenzione che i Nabat riservano alla produzione del disco e a rendere quest'ultimo accattivante. Arriva quindi la leggendaria "Lunga via ai ribelli Oi!", che ha una grande cattiveria di fondo. Vale la pena di soffermarsi sul testo per capire bene la retorica dei Nabat. Le strofe sono di due versi l'una, poi c'è un lungo ritornello anthemico perfetto. "Non puoi decidere il tuo destino: dietro l'angolo c'è la paura" cosa vuol dire? Sono parole non ragionate, che esprimo cattiveria e brutalità, una vita di sopraffazione. Il manifesto della band arriva con i versi successivi "suono duro, segno del dolore, oggi siamo giù in città, comincerà la fine!" mentre con l'ultima strofa poche immagini disegnano una città desolata e disperata. Finale con la celebre "Troia", che in effetti non è un inno al progressismo, ma che è da inquadrare nell'ottica di un gruppo di operai che si spezzavano la schiena tutto il giorno e vedevano ragazze - probabilmente riferendosi allo show-biz, ma non ne sarei troppo sicuro - guadagnare con una via meno faticosa ma anche parecchio degradante, almeno per chi ne ha consapevolezza; ma di quest'ultimo aspetto i Nabat non sembrano curarsene.

Questo EP è quindi uno dei punti zero dell'Oi! italiano e non. Le cover di queste canzoni non si contano, il loro impatto sulla scena musicale è incalcolabile e, sebbene a qualcuno possa non piacere la loro timbrica o il loro stile, il rock italiano passa da Bologna. Dalla Laida Bologna. Voto: 86/100.

Elenco e tracce

01   Parte 1 (00:00)

02   Parte 2 (00:00)

03   Laida Bologna (00:00)

04   Potere Nelle Strade (00:00)

05   Lunga Vita Ai Ribelli Oi! (00:00)

06   Troia (00:00)

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