A differenza di molti illustri colleghi, i Napalm Death sono sempre riusciti a dare un senso concreto, tangibile e politicamente scorretto alla violenza sonora e visiva che da sempre li accompagna. Tutto ciò a costo di essere declassati - da certa critica snob-che-più-snob-non-si-può - a "gruppo hardcore", o banalmente "punk estremista".

Mai semplificazione fu più errata: è vero, non si tratta di una band death-metal in senso stretto, in quanto lo stile musicale è "semplificato" rispetto alle "pugnalate sonore", piene di iper-tecnicismi, di Morbid Angel e compagnia. Ma questo non può essere un difetto, semmai è una scelta stilistica ben precisa. Qui, infatti, più che la desolazione, la pesantezza sonora fine a se stessa, la carica emotiva oscura, gli assoli dissonanti, le melodie disturbanti, si ha una tendenza quasi a razionalizzare, a colpire nel segno, senza divagazioni superflue. Con il pessimismo più sincero che si possa dimostrare, ed una perizia tecnica non indifferente. I nostri, in sostanza, riconducono AL death l'attitudine disillusa - e realistica - di gruppi come i Dead Kennedies, cui si rifanno esplicitamente.

Questo disco, a differenza del pazzesco "From Enslavement to Obliteration", si caratterizza per una "pulizia" sonora, una produzione molto curata, ed una fase compositiva non studiatissima, ma comunque superba. Per loro è più importante il significato di un testo, o l'impatto complessivo del brano, piuttosto che la ricercatezza e la sperimentazione. Notevoli "Idiosyncratic", in particolare "I Abstain", in cui si registra una delle migliori "vocular armageddon" di Mark Greenway, accompagnato da un tappeto sonoro pesantissimo, crudo, iperveloce: perfetto, in una parola. Senza dimenticare la ferocissima "Christening Of The Blind", e pezzi meno "immediati" come "The World Keeps Turning", o "Judicial Slime" (in cui sono evidenti le origini punk-rock della band).

Si dimostra qui che possedere un buon livello tecnico non significa buttarsi necessariamente nelle meraviglie del jazz-metal o nel cinismo dei guitar-heroes, ma si può far convivere "serenamente" (passatemi il termine) un aspetto razionale ed uno caotico. "Contemptuous", tra l'altro, è la dimostrazione di come i nostri riescano perfettamente a suonare anche pezzi più rallentati, direi quasi doom, come ulteriore prova di bravura e capacità compositiva.

Si esce, finalmente, dalla monotonicità - gradita ad alcuni - dei lavori precedenti, con dimostrazione ampia di padronanza degli strumenti, predilizione per un sound "grezzo" frammisto a cambi di tempo sempre dosati correttamente. Le composizioni sono sempre con il marchio di fabbrica ND, cioè al fulmicotone, incredibilmente veloci e brutali: l'anello di congiunzione definitivo tra metal e punk. Due generi inconciliabili, secondo offuscate definizioni "accademiche" (e molti metallari "puristi"): tesi smontata prontamente da dischi del genere.

Mark "Barney" Greenway - Vocular Armageddon
Jesse Pintado - Dissonant Distorted Delirium No. 1
Mitch Harris - Dissonant Distorted Delirium No. 2
Shane Embury - Sub-end Vexation
Danny Herrera - Hyper Cans

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