"E nella voce di James, nella sua aspra vocalità, risuona una secolare maledizione, la lacerazione di ferite che non trovano lenimento né conforto né comprensione da parte di una città cieca e distratta, che al melodismo più volgare e dozzinale volge le sue attenzioni."

Roberto De Simone

"Dint' o paese ce restan sule

Viecchie, mugliere, muorte e criaturi.

O' solito scemo, o zuopp' e o sciancat'

O' cane rignuso ch'ei costole afora"

Che siano giorni duri e bugiardi, è presto detto, ed è anche facile a dirsi quanto il cielo sia di piombo. Non è questione che ti giri ad ogni angolo, e senti puzza di cordite, e non è questione che i cadaveri spuntano ad ogni angolo della strada, o molto pittorescamente, come immaginano i più, ci sono cervella spappolate sulle pareti. : non, non è così la Napoli di questi giorni. Per chi è di Napoli, Napoli da una settimana a questa parte non è diversa dagli altri giorni. Il napoletano, per molti, è una bestia singolare, disturbante: difficile attribuire gli stereotipi "tarantella sole pizza e mandolino", se "a Napoli si muore a tarallucci e vino". Ma l'equazione è più semplice da risolvere di quanto crediate: il napoletano è solo la dimostrazione che l'uomo è un'animale estremamente flessibile, ma anche estremamente malleabile. C'è da impazzire, se uno pensa seriamente al pantano in cui siamo infilati, e del resto un popolo non può essere ogni giorno a lutto, perché ogni giorno muore qualcuno: e allora che si fa? Quando qualcuno muore ammazzato, crivellato dai proiettili, lo si nasconde sotto al letto o al tappeto? No, questo non si può. E allora l'uomo, il napoletano, si convince che è cosa normale, morire di morte procurata, soprattutto se ti infili in certi ambienti, che poi a te che frega, tanto è "robba di camorristi". Capita poi che "sotto le bombe" ci finisce una signora che stava portando la spesa a casa, uno che "somigliava" o che "teneva ‘a machina tale e quale", oppure una di quattordici anni, e allora si viene puntualmente smentiti: se tre persone decidono di ammazzarsi in mezzo alla strada, la questione riguarda tutti, non solo quei tre. A Napoli non c'è emergenza, ed è inutile che cerchino di strumentalizzare la paura di un popolo, non il dolore, né la rabbia, ma solo la paura, l'impotenza e la rassegnazione di un popolo dando le colpe all'indulto o al malgoverno di un quinquennio: a Napoli non c'è emergenza, perché nessun napoletano la sente più, a Napoli l'emergenza sta "dint'è cape ra ggente". Che fare allora? Combattere, o lasciare? Andare o restare? Questa nave sta affondando per davvero, se tutti i topi vogliono scappare, se di quanto c'era di buono a Napoli è andato definitivamente perduto. Forse, sarebbe meglio distruggere tutto, farla finita.

E ancora una volta vengono in aiuto i dischi, una copertina che è tutto un programma, un manipolo di tizi difficilmente distinguibili, stagliati contro un paesaggio da incubo post-atomico, che altro non è che uno scampolo di campagna fuori Napoli in una mattina brumosa: ma quei tizi hanno qualcosa che non quadra, non sembrano napoletani, anche se sopra la foto, su sfondo giallo, c'è scritto "Napoli Centrale". Ed in effetti, nei quattro c'è un inglese Tony Walmsley, al basso ed un americano, Mark Harris. Ed in effetti, pure gli altri due, Franco del Prete e James Senese non sembrano granchè italiani, forse sono italoamericani? Macchè, Del Prete è un bel pezzo di drummer pescato dritto dritto dai dintorni di Partenope. Mentre Senese. . . beh, Senese è un figlio della guerra, di padre soldato americano tutto yes e all right e madre giovinetta affascinata dalla negritudine. Senese è un sassofonista, amante (adoratore) di Coltrane, di Coleman, di Miles, uno che ha instillato anima soul in "Un'ora sola ti vorrei" e che ha trovato una via traversa per utilizzare i classici napoletani anche in piena era jazz, funk e fusion.

Sissignori. Se questo disco ve l'hanno spacciato per prog, mandate afangala chi vi ha detto ‘sta stronzata. Questo è jazz, Weather Report-style con cantato in vernacolo e sax immerso in scale sospese tra Mediterraneo e Atlantico però debitrici di Trane. L'attacco non lascia scampo: il tempo di presentare i musicisti e parte "Campagna", fiati in bella mostra a inventarsi un intro, mentre parte la voce di Senese stesso a declamare con tono disperato, crudele, polemico ma soprattutto virile la vita dei braccianti, quelli che ha visto fin dal giorno in cui è nato. Del Prete fa un po' quello che gli pare alla batteria, mischiando funk, virtuosismi e jazz, non ne parliamo poi delle tastiere, a mantenere giusto una parvenza di sanità mentale è il basso. Ma è Senese che colpisce per maturità compositiva: il materiale che scrive lascia una libertà inedita ai musicisti, ma soprattutto al suo sax, utilizzando uno stile che più americano non si può, e stendendo un ponte fra New York e Napoli ("che poi sono sullo stesso parallelo").

Ma la traccia d'apertura è giusto per far capire in quale cul de sac l'incauto ascoltatore è capitato: con "Gente e' Bucciano" si capita in luoghi dell'anima frequentati da Mayfield, con quegli organi che spingono al booty shakin' e Senese che parla di gente che scappa dalla terra natale, allora per trovare lavoro in fabbrica, oggi sarebbe per trovare giusto un posto più aperto e pulito, e il sassofono amplifica le sue sensazioni, le replica perché è incazzato, sembra che l'ottone stia per essere rivoltato come un guanto. Cazzo. "Pensione Floridiana", breve tregua, un divertissement, ma con giro di basso da incorniciare e un Senese agile e pacato. Ed eccoci qua. "Vecchie, mugliere, muorte e creature". Così nera che la luce non la raggiunge, così perfetta che c'è da chiedersi com'è che nessuno l'abbia mai cagata. Il testo è eloquente, i giovani che scappano, il paese abbandonato ai deboli e alla distruzione. Ma attenzione: se potessero, non fosse così povero di vita e prospettive, in quel paese, i giovani ci resterebbero. Ma la fuga pare essere l'unica prospettiva: ma verso cosa? Negli anni settanta si correva a lavorare a Torino, sotto un altro padrone, dentro ad altra miseria; e oggi, sotto quali altri cieli? Quale altro destino? In fondo, la vita per molti qui è una perenne fuga: mettersi una pistola in tasca non è altro che un modo per scappare dalla miseria, mentre chi si trova le pistole addosso scappa dalla paura. Ma James dice solo le cose come stanno, fa cronaca, e musica, con quel sax che entra nel preciso momento in cui doveva entrare, né un attimo dopo né un attimo prima, e dipana fluido ed essenziale la sua matassa.

"Vico Primo Parise numero 8" è music painting, ritratto fedele del suo luogo natale, una via caotica, frequentata da tutti i personaggi che si possono trovare in un paesino, "Black market" ante-litteram insomma con gli strumenti che si fanno interpreti degli umori che serpeggiavano sotto il balcone di casa Senese, mentre il sax, il suo sax, personalissimo centro di gravità permanente, antidoto e scudo, lo proteggono dalla discriminazione razziale, dalla criminalità e dallo squallore della provincia; e il nostro compone passando con eleganza tra l'oriente, l'Africa e l'America, territori da cui Napoli ha preso per osmosi indistintamente tutto il meglio ed il peggio.

Ultimo atto, ma già lo sapevamo, "'O lupo s'a mangiato a pecurella", con annesso finale apocalittico, tra i vicoli una voce urla, rabbiosa e folle, chiede e si chiede dove sia la pace, se mai ci potrà essere, ed infine:

"'O Crì, ‘o Crì si mmuort,

ma a pace addo sta?

O Crì, ‘o Crì si mmuort,

ma chi cazz t'ha fatt fa!

Durmite! Durmite!"

Cosa c'è di buono, di salvifico, in un disco del 1975, che può dare ancora speranza? La critica, che si fa così costruttiva e rabbiosa, solo quando c'è amore per la propria terra, e la volontà di salvare lei e la gente che ci vive; la musica: Senese testimoniò che per andare nel futuro, per cambiare le cose non era necessario abbandonare Napoli, dare un taglio alle proprie radici, si poteva andare oltre quel melodismo volgare (simbolo di una indifferenza diffusa, non solo a livello musicale) e piegarlo al proprio sentire vero e verace, trasportare questa città nel futuro, un futuro che con il Neapolitan power sembrò arrivato per Napoli già negli anni '80, e invece rimase fermo a semplice proposta.

Il punto è che si può, Senese e compagni l'hanno dimostrato: si può traghettare Napoli e i suoi umori nel futuro, forse, a trent'anni di distanza non tutto è perduto, forse. . .

O forse no. Forse il suo è stato un bel sogno, una manciata di minuti di musica, e nulla più.

Merda.

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