I Nazareth.

A molti rockettari questo nome non dirà molto, ma negli anni 70 c'era un gruppo che incise almeno tre album di ottimo Hard rock influenzato dal blues e dal rock'n'roll.

Nati nel 1969 in Scozia, e formati da: Dan McCafferty alla voce, Manuel Charlton alla chitarra, Pete Agney al basso e dal poderoso Darrel Sweet, morto purtoppo d'infarto nel 1999, alla batteria, si erano fatti conoscere dall'ottimo album di grezzo rock'n'roll "Razamanaz". Con il successivo "Loud'N'Proud" confermarono il loro status di ottima ma poco conosciuta band hard rock britannica, offuscati da altri grandi stelle che ebbero più fortuna commerciale.

Si aprono le danze al fulmicotone con "Go down fighting" in cui si palesa già la direzione dell'album: un rock compatto caratterizzato da una sezione ritmica semplice ma possente e una chitarra che crea un muro di suono. Ma il vero marchio di fabbrica, a mio parere, è la voce particolarissima del cantante Dan McCafferty: roca, sofferta e potente quanto basta. A tratti ricorda il primo Brian Johnson degli Ac/dc o dei Geordie (suo gruppo precedente). L'album prosegue con le tiratissime "No Fakin It", "Turn on your deceiver" e "Teenage nervous breakdown", tre canzoni tirate di Hard N Roll dall'inizio alla fine con la chitarra e la voce protagonisti e una sezione ritmica che non lascia respiro. Due brani meno esplosivi, ma comunque ottimi sono: "Free Wheeler" e "This flight tonight" (incredibilmente cover di Joni Mitchell), servono a farci respirare con le loro ottime trame blueseggianti che tanto hanno influenzato gruppi come gli Ac/Dc che non sono mai a sproposito troppo citati come riferimento sonoro. "Child in the sun" è il primo vero lento dell'album con il suo ritmo cadenzato e l'ottimo refrain a più voci. Una ballad mai banale e che serve a farci capire che i Nazareth non sono solo sfrenato Rock n roll ma sanno comporre qualcosa di più tranquillo e ragionato. In chiusura troviamo "The ballad of Hollis Brown", cover di Bob Dylan, un pezzo lento ma possente con il riff ossessivo di chitarra distorta che ci accompagna per tutto il pezzo e ci ricorda che i Nazareth sanno fare musica non solo divertente e spensierata ma anche sulfurea e minacciosa.

Un album che conferma le ottime dotti dei quattro rockers scozzesi che dopo l'album "Hair of the dog" tornarono a essere un misconosciuto gruppo che forse meritava qualcosa in più per le sue doti ma purtroppo risulta una perla solo per i cultori del genere. Insieme a "Razamanaz", si cui personalmente penso sia prodotto leggermente meglio, rappresenta il miglior album dei Nazareth.

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