Il disco incuriosisce già dalla copertina alquanto enigmatica e tetra che preannuncia in un certo senso alcune atmosfere in cui si verrà proiettati in questo "colossale" concept album di Neal Morse.

Il suo quarto lavoro progressive da solista che vede la mirabolante partecipazione di Mike Portnoy (batterista dei Dream Theater) e il "guitar Hero" Paul Gilbert. La cosa più intrigante che mi ha spinto ad ascoltare il disco (da buon amante del prog) è la track list stringatissima: compaiono solo 4 titoli

The Door

The Conflict

Heaven in My Heart

The Conclusion

Che si presterebbero adeguatamente a fare da titoli ai capitoli di un libro "Fantasy".

Invece il tema è piuttosto concreto, praticamente "storico"… neanche in questo lavoro l'ex leader dei Spock's Beard riesce a sbarazzarsi del tema religioso che così come nei precedenti lavori appare alquanto controverso, tormentato e proprio in questo caso (passatemi il termine) "eretico". La storia su cui si fonda l'intero concept è infatti quella di Martin Lutero, monaco e teologo del ‘500 che con le sue 95 tesi in rifiuto dei dogmi ecclesiastici si impose come padre spirituale della riforma protestante.

Neal Morse, probabilmente, con questo disco vuole sancire in modo definitivo le ragioni che lo hanno portato alla conversione religiosa aderendo ai precetti della chiesa protestante. Ma passiamo ad analizzare un "attimo" la parte musicale: la cosa che inquieta inizialmente, prima di ascoltare il disco è la durata totale: ben 76 minuti complessivi suddivisi in 4 tracce! … resta da chiedersi quale bel polpettone c'abbia propinato stavolta il geniaccio illuminato di Morse.

La prima traccia si apre con una intro dai toni inquietanti con scariche di batteria in stile Portnoy e tastiere che fanno da sfondo alla chitarra che disegna con precisione assoluta un riff tipicamente prog metal. I primi 5 minuti sono totalmente strumentali e passano in rassegna alcuni dei temi che poi si svilupperanno successivamente nel corso del brano (e di quelli successivi) … cambi di tempo repentini, riffs legati insieme con sapiente cura compositiva… poi il ritornello maestoso e l'impeccabile canto di Morse che introduce il tema del disco; appena il tempo di essere rapiti dalle splendide sovraincisioni effettate di voce che il ritmo cambia nuovamente e si arrampica in un riff di chitarra che ha un "non so" di già sentito (diciamo che fa parecchio il verso ai Dream Theater), appaiono d'un tratto una chitarra acustica e una cassa battente 4/4 che cullano un cantato tipicamente "Morsiano" … ancora una melodia maestosa ci porta al centro del brano. Se non si guardassero i secondi che appaiono sul display dello stereo penseremmo che quella che stiamo ascoltando è una ottima chiusura della composizione … macchè! … si ripiomba in un riff duro e convulsivo spezzato da diversi break e chitarra wah-wah, poi ancora un altro tema musicale stavolta un po' più rockeggiante (che non avrebbe affatto stonato in uno dei precedenti lavori di morse) … si va avanti così con altri cambi di tempo e break più morbidi fino all'assolo di chitarra … poi ancora una strofa che introduce al terzo tema cantato su percussioni più rilassate … si accedono agli ultimi 4 minuti del brano dopo una pausa riflessiva di archi riverberati, il pianoforte che passeggia su due accordi e la voce che canta soffusamente una strofa per lasciare il posto ad uno struggente assolo di chitarra che passa il testimone all'ultimo ritornello pacato che chiuda il tutto con una decisione: <<… scriverò le mie parole sulla porta> >.

Il primo brano con i suoi oltre 29 minuti è terminato e quasi si desidererebbe prendere un po' di fiato… neanche il tempo di pensarlo che un riff strapotente ti spettina letteralmente i capelli… l'atmosfera è molto "grunge" quasi sembra di sentir cantare Lane Staley (storico leader ormai scomparso degli Alice in Chains)… provare per credere!! Il tutto lascia il posto ad una melodia che ricalca il percorso musicale di Neal, quasi una autocelebrazione delle melodie che ci hanno fatto innamorare della musica di "Testimony" o "?" … ritorna poi un tema già ascoltato nella prima lunga composizione in una salsa un po' diversa (più prog) ma si resta quasi attoniti quando si interrompe due volte il tempo lasciando apparire nel chiaroscuro un coro Gregoriano; al termine dell'intermezzo riappare la voce di Morse che ci accompagna malinconicamente verso una chitarra classica spagnoleggiante (uno dei passaggi più belli dell'intero lavoro) che dopo un accurato arpeggio ci proietta in un tempo Gypsy, jazzato, con assolo di chitarra classica che lascia il posto al pianoforte di Morse e poi assolo di Portnoy.

Con una maestria che lascia scioccati i suoni acustici si trasformano nei malefici suoni distorti che ripropongono un tema intermedio della prima traccia, arricchito e cantato… un paio di break e ritorna la calma su una strofa arricchita da suggestive percussioni africane che incorniciano un bel canto quasi pop melodico … l'atmosfera distesa ci accompagna per gli ultimi 4 minuti della composizione e si chiude in modo quasi sognante come se "il conflitto" interiore di Lutero / Morse fosse terminato davvero …

Dopo la terza traccia (una ballata rock - pop con passaggi intermedi abbastanza ricercati, ma neanche troppo!) che quasi ci lascia davvero prendere fiato con i suoi "soli" 5 minuti, inizia "La Conclusione" … Il brevissimo inizio enigmatico lascia spazio ad un inviluppo sonoro delizioso suonato da veri virtuosi, il doppio pedale di Portnoy spara a raffica, la tastiera schiva e si affaccia decisamente prima di essere sopraffatta da un riff cupo e inquietante. Neanche a dirlo, vengono riproposti temi già accennati o sviluppati in precedenza, a volte in maniera fugace altre volte arricchiti e perfezionati … degno di nota al 7° minuto l'assolo supersonico di batteria e altre fugaci "invenzioni schizzofreniche" che ci accompagnano al centro del brano … altro ritornello struggente, nuovamente temi già sentiti coadiuvati da ottimi assoli di chitarra e la chiusura su una tastiera soffusa che lascia il giro in sospeso insieme alla voce vibrante di Morse.

A dir la verità, Neal Morse, in questo disco non inventa niente di nuovo dal punto di vista musicale; la tendenza a mantenere alcune sue linee melodiche e strutture compositive pluritematiche è confermata. E' però interessante notare il risvolto molto più duro di questo lavoro che si affaccia al progressive metal più cupo in stile "Train of Thought" dei Dream Theater senza però perdere mai di vista l'intera "teoria del prog" dagli anni '70 ad oggi … i tecnicismi si sprecano e a volte possono apparire stucchevoli ma l'esecuzione è letteralmente impeccabile, l'abilità compositiva è impressionante e gli amanti del genere troveranno questo davvero delizioso (da leccarsi i baffi)… sicuramente non è un disco consigliabile a chi si avvicina per la prima volta al prog metal o ai lavori di questo eccezionale autore, ma resta comunque un lavoro pregevole e merita a pieno 5 stelle!

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