Aria di cambiamenti totali per la band genovese di thrash/death metal che, a differenza degli scorsi lavori quali "Ton(e)s Of Hate" e "100% Hell", ha deciso di aprire porte che prima non si era mai permessa di oltrepassare. Come ormai ci avevano abituato da quando si son formati come band, il nuovo "Draculea" (concept album dedicato esclusivamente alla leggendaria figura di Vlad Tepes), vede come protagonisti i liguri che, essendo consapevoli in cosa sarebbero andati incontro e sebbene il trademark Necrodeath sia ancora ben riconoscibile, hanno preso la decisione di esplorare lidi sonori che nessuno avrebbe mai potuto pensare (compreso il sottoscritto). Nessuno potrà di certo dimenticare quanto questa storica band sia stata importante nel proporre senza alcun compromesso quel surrogato di velocità esecutiva e intransigenza che non li ha resi mai prigionieri. Se vogliamo tracciare un paragone azzardato, questo "Draculea" potrebbe essere la perfetta brutta copia del malvagio e storico "South Of Heaven" degli Slayer, la cui ombra, diciamoci la verità, ha sempre aleggiato sorniona sui lavori di Peso e soci. Spazio dunque a svelare, senza girarci troppo intorno, la verità che si cela dietro questo lungo velo. I Necrodeath, per la prima volta nella storia, con quest'ultima opera, hanno proposto brani ricchi di atmosfera e con più rallentamenti che in passato. Parlano magnificamente in questo senso e a questi propositi "Smell Of Blood" e "Party In Tirgoviste", due pezzi che usufruiscono di ritmi cadenzati e di riff di chitarra di Pier Gonella che tessono melodie oscure e ricercate. Ritornando lievemente indietro sarebbe importantissimo citare la strumentale "V.T. 1431", nella quale l'atmosfera diviene a dir poco inquietante e quasi onirica, c'è da notare soprattutto l'accostamento con la lingua rumena che va a sostituire, per l'occasione ed anche nell'ultima traccia, gli insert in latino che hanno da sempre caratterizzato le precedenti composizioni della band genovese.

Ciò che però lascia perplessi è l'eccessiva lunghezza di alcune canzoni, tra tutte "The Golden Cup" (in cui più volte l'ascoltatore si sente spinto a passare alla canzone successiva), ma anche "Fragments Of Insanity" e "Party In Tirgoviste", canzoni il cui buon potenziale si perde tra passaggi poco scorrevoli e riff ripetuti insistentemente e troppo a lungo. V.T. 1476, un pezzo impastato di quell'elemento dionisiaco-apollineo di cui parlò Nietzsche e dal fresco sapore gothic nel quale, con la partecipazione improvvisata della leader della gothic band pugliese Godyva, si è venuta a creare una sorta di contrasto ben riuscito nell'intento da parte dei genovesi di poter concludere nel migliore dei modi se non quasi maestosamente (in realtà non è così) quest'opera.

Una citazione a parte merita ?Countess Bathory?, cover leggendaria degli storici Venom, band che da sempre i Necrodeath citano tra le loro maggiori preferenze e conseguentemente influenze. Una cover che non toglie né aggiunge spessore all'album, ma che rimane comunque un pezzo ben eseguito e caratterizzato come il resto dell'album, da una produzione, tuttavia, non eccelsa.

Secondo il mio punto di vista, quest'album si prospetta più come un lavoro di transizione che come maturazione definitiva dei nuovi Necrodeath. Bene o male, la band ligura si è azzardata per la prima volta nella sua storia di varcare confini che prima non si era mai posta come obiettivo. Non so dirvi neanche con certezza se perderanno i loro buoni vecchi fan o ne acquisteranno altri... staremo sicuramente a vedere fra qualche mese.

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