“Mirror Ball” uscì nel 1995, e fu il disco che suggellò il ruolo di primo piano ripreso da Neil Young nell’arena musicale anni 90.

In quel periodo Young aveva infatti tenuto a battesimo la scena alternativa, sdoganando i Sonic Youth presso il grande pubblico e ispirando quel grunge che all’epoca era il fenomeno musicale dominante. L’epiteto di “Padrino del grunge” era stato sancito dall’influenza riconosciuta dalle più importanti band del periodo – dai Dinosaur Jr agli Afghan Whigs – nonché nella celebre citazione di un suo verso nel biglietto di addio di Kurt Cobain. Lo stesso Young contribuì a comporre uno dei più toccanti affreschi di quella stagione, col crepuscolare “Sleeps with Angels”, capolavoro che aggiornò i tetri lavori del Neil di metà anni 70 nella babilonica America dei primi anni 90. Non stupì quindi che per il passo successivo a quell’ impresa, appunto “Mirror Ball”, il loner dell’Ontario avesse cooptato i Pearl Jam come backing band. La band di Gossard e Vedder ha sempre avuto i lavori del Young elettrico nella propria bussola stilistica, mantenendo inoltre l’estetica younghiana impressa nel proprio immaginario. Ciò si evinse in particolare con la pubblicazione di “Vitalogy”, struggente requiem che stava al grunge come “Tonight’s the night” stava al movimento di Woodstock. Il risultato fu un lavoro felice e ispirato, certamente orientato nel cuore degli anni 70 (del resto il “ supergruppo” era una delle icone di quel decennio, e lo stesso Neil ne sa qualcosa), rileggendo gli archetipi guitar rock di opere paradigmatiche come “Zuma” e “Rust never sleeps” .

L’iniziale “Song X” denota subito quali saranno le coordinate sonore di questa ennesima avventura musicale: una coltre di feedback avvolge la struttura melodica tra riff poderosi e assoli incalzanti. Le successive “Act of love”, “I’m the ocean” e “Truth be known” sono grunge songs a tutti gli effetti, con quell’inconfondibile marchio di fabbrica di un suono di chitarra pastoso e distorto. Niente di nuovo sotto il sole, ma certamente grandi pezzi rock. Menzione speciale per “I’ m the ocean”, il cui turbinoso incedere ricorda certe cose del “Versus” della band di Seattle, in particolare grazie alle pulsanti linee di basso di Jeff Ament. Anche a livello lirico tale episodio definisce uno degli estremi del lavoro, dipingendo un’epopea americana oscura ed eroica alla “Powderfinger”, con versi emblematici come “Homeless heroes walk the streets of their hometown /Rows of zeros on a field that's turning brown/ They play baseball They play football under lights They play card games / And we watch them every night” oppure “I'm not present, I'm a drug that makes you dream / I'm an aerostar I'm a cutlass supreme In the wrong lane /Trying to turn against the flow I'm the ocean /I'm the giant undertow “ . Decisamente più leggeri sono invece i classici numeri rock and roll di “Downtown” e “Peace and love” , pregni di riferimenti all’età d’oro del rock e all’era hippie, oppure la conclusiva “Fallen angel”, ballata per organo e voce che esalta il celeberrimo falsetto di Neil. Il meglio dell’opera arriva però alla fine, con “Throw your hatred down” , una “Rockin’ in the free world” nuova di zecca, attacco al curaro di Neil alla legislazione americana sulla vendita di armi e la lunga, dilatata “Scenery”, che rinnova il canovaccio di “Cortez the killer” in una torbida cavalcata, il cui testo evoca fantasmi cobainiani di morte e celebrità. “People my age / They don’ t do the things I do” sospira Neil in “I’m the ocean”, e “Mirror Ball” fu dunque la conferma di come Young avesse sempre una marcia in più. Ciò che mancò alla joint venture Neil Young-Pearl Jam fu forse la capacità di andare oltre gli stilemi del classico guitar rock younghiano, il coraggio di osare che aveva fatto di “Ragged glory”, di “Weld” e poi del successivo “Dead Man” vere e proprie pietre miliari della discografia matura del Canadese. “Mirror Ball” è un “sussidiario illustrato” dei miti di una Icona rock per le giovani generazioni cresciute a pane, Nirvana e camicie di flanella. Nonostante sia esattamente come ci si aspetta che suoni, i trucchi usati dal vecchio prestigiatore dell’Ontario ammaliano anche stavolta.

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