Diciamolo subito: nulla a che vedere con i due precedenti, e per tanti motivi. I tempi sono cambiati, e già nel 1976 l'operazione del secondo Concerto Grosso poteva apparire opportunista e un po' stantia; non c'è più Luis Bacalov, è scomparso Sergio Bardotti (a cui è dedicato il disco), a ben guardare non ci sono più gli stessi New Trolls.
"The Seven Seasons" più che un disco di gruppo, è un'opera di De Scalzi: non solo perché è un bel seguito del suo Concerto Grosso (2001, con Maurizio Salvi), ma anche perché egli è motore propulsivo del progetto, anche a causa dello stato di salute di Nico Di Palo, che non gli consente più i voli del passato. A ben guardare non c'è neanche la struttura "tipica" del Concerto Grosso, quel dialogo tra orchestra e gruppo che nel 1971 fece storia. C'è un discorso di maggior fusione tra i due elementi, di impeccabile equilibrio, di rock songs rinforzate dagli archi e possedute dalla consueta e preziosa vena melodica.
Ciò non vuol dire che l'album non sia valido, anzi: è il frutto di una band che, vivificata da giovani talenti come Bellia, Maddalone e Sposito, è sempre grintosa e determinata; gode dell'esperta direzione d'orchestra di Stefano Cabrera, dei testi intimisti di Shel Shapiro, storica voce dei Rokes. E' un disco che piacerà molto perché mostra i New Trolls molto freschi, con qualche omaggio al celebre primo Concerto Grosso, vedi l'apertura di "The Knowledge", e soprattutto con pezzi brillanti all'insegna di un progressive-rock classicheggiante ma moderno e godibile, come l'intensa ballata "Dance With The Rain", l'incalzante title-track, tra i momenti più alti dell'album, come "Testament Of Time", un brano dinamico dal taglio quasi cinematografico e la rocciosa suite "Simply Angels" che non dispiacerà ai prog-metallers.
"One Magic Night" (con il soprano Madelyn Monti) è tra gli episodi più melodici, quasi pucciniani nell'intensità; gli inconfondibili cori tornano in "The Ray Of White Light", un brano di grande serenità e compostezza; "To Love The Land" gode di una pregevole invenzione melodica. La band attraversa i singoli brani con cadenze, ostinati e larghetti, attingendo a quel bacino classico che negli anni '70 ispirava gran parte delle rock bands italiane (vedi "Future Joy", "Barocco 'n Roll": episodi frizzanti, equilibrati, mai troppo pomposi benché nostalgici). Menzione speciale per il "piano preludio" di Vittorio in "The Season Of Hope", un momento di autentica grazia.
Consiglio l'ascolto di "The Seven Seasons": è l'opera di una delle più grandi band italiane, riesce ad armonizzare con bravura le due classiche vene trollsiane, quella rock/prog e quella pop/melodica, mette in mostra il talento mai tramontato di Vittorio De Scalzi (una delle migliori penne mai avute in Italia), e soprattutto un gruppo maturo. Anzi, una sigla storica sempre pronta alla buona musica.
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