Partiamo dalla fine. O dalla metà.

Il libro mi è piaciuto molto, però non vale. Perchè togliendo "Branchie" che proprio non l'ho digerito (e ne ho anche lasciato un po' nel piatto) tutto quello che Ammaniti ha prodotto mi è piaciuto assai sempre. Comunque.

Di che parla sto libro?
Di Cristiano, un ragazzino tredicenne che ha la (s)fortuna di essere figlio di Rino. Rino, un nazistello quarantenne, infallibile nel suo metodico fallimento, alcolizzato e con, come compari, due personaggi ancora più emarginati. Un looser di prima categoria, che costringe il figlio a vivere in una casa mai completata, sudicia, senza riscaldamento e bla bla bla. Che insegna al figlio a picchiare, a sparare, a farsi rispettare. Insegna a odiare, che se non odi, se non hai la rabbia, gli altri ti menano. Che però, alla fine, Rino, se non lo ami, almeno un po' lo rispetti.
Anche se pensi che i nazisti siano la cosa peggiore dell'umanità (specie se dell'Illinois). Anche se vorresti chiamare il telefono azzurro per dire che a pagina centotrè quello stronzo ha fatto quello e quell'altro.

Perchè anche tu qualche volta hai pensato, che la libertà è stata inventata dai ricchi per metterla al culo ai poveri. Perchè forse alla fine scopri umanità e amore anche in quel corpo sbronzo e puzzolente che riversa sul pavimento pieno di mozziconi. E non vado oltre perchè sennò ti rovino la trama.

Amo il modo in cui Ammaniti descrive i personaggi
. Tutti. Come fosse il Burattinaio. Quello che da una manciata di lettere dona una nome. Un cognome. Un aspetto, una somiglianza, una storia. Un'origine. E dopo, solo dopo aver descritto questo, l'azione.
E l'azione, magari si intreccia con altre azioni. Magari un pò più in la. Però nel frattempo il personaggio è lì. Tridimensionale. Con la sua mente sul rivestimento dei muri per togliere l'umidità dalla villetta.
Nella sua mercedes esseellecappa mentre sbuffa nuvole di fumo fuori dal finestrino.
In coda. Con la fidanzata piena di scazzo sul sedile accanto.
Il libro è costellato da personaggi all'apparenza marginali ma che servono a dare profondità al racconto. Di nomi e cognomi. Di paeselli e vie. Di dettagli. Di gesti inutili. Apparentemente inutili.

La storia è comunque potente, asciutta, cruda. Non ho provato momenti di stanca nella lettura, ne di stagnazione. Tutto è scivolato in fretta fino all'epilogo. Dove, finalmente, ho potuto tornare a respirare.

Come dicono quelli bravi. Consigliatissimo.

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