Non scherzo: io me lo sposerei. Anche subito.

Non solo perché è bello e condivide con me fin dall’adolescenza il dramma della complessa gestione di una capigliatura assolutamente indipendente e ingestibile e dalla forte personalità, argomento con cui si impose al pubblico del Festival dei Fiori oltre 15 anni fa. Ma anche e soprattutto perché oltre ad essere un ottimo e fine musicista è anche uomo di grande sensibilità, educato, cortese, puro, spontaneo.
Apprezzandolo fin dagli esordi ho sempre avuto questa idea di lui proprio come essere umano, molto prima del 2010 quindi, anno che (con il noto e violento evento shock) ha travolto la sua vita, modificandola per sempre.

Da allora, come ormai tutti sanno, è come fosse avvolto costantemente da questa bolla che lo permea, lo trapassa e lo circonda proiettandolo nel futuro con la pesantissima eredità di un simile passato.
Per quanto sia tornato sul palco, con grande forza e plausibile passione, ricominciando a dare al pubblico sé stesso e il suo talento, è come se, comprensibilmente, questo alone non smettesse mai di avvolgerlo, quasi fosse un sudario.

Tutto questo, sul palcoscenico, è stato talmente evidente da diventare immediatamente tangibile.
Non solo per il suo sguardo, velato anche nel sorriso, non solo per la sua voce, sofferente pur nella fermezza, e non per il suo atteggiamento compito e umile davanti all’esplosione appassionata del pubblico. Ma per il retaggio di una lezione di vita che va aldilà della morte e della perdita, perdita in senso generale e dell’idea di certezza.
Una consapevolezza che non è di tutti, di non avere più niente da perdere avendo già perso tutto, e avere saputo ricominciare.

Quindi, quello cui abbiamo potuto assistere nei primi giorni di questo freddo febbraio al Teatro dal Verme (grande acustica) non è stato solo un semplice concerto, e nessuna delle forti emozioni provate è rientrata semplicemente in questa categoria.
Sarebbe stato puerile anche solo pensarlo.

Fatta questa imprescindibile premessa resta quindi la musica, gli arrangiamenti, la splendida esecuzione, la sua voce e i testi.

Con lui sul palco Roberto Angelini e i suoi virtuosismi alla steel guitar (che ha tra l’altro aperto la serata con uno showcase per l’uscita del suo nuovo cd), Gabriele Lazzarotti al basso, Fabio Rondanini alla batteria, Daniele “Mr Coffee” Rossi ('collaboratore dal Tiromancino') ai campionamenti/sampler e Pier Cortese alla voce, chitarra e iPad.

All’apertura, lo strumentale Indie cui segue subito Indipendente (gioco di parole e significato?) entrambi tratti da ECCO, l’ultimo album che verrà eseguito quasi interamente durante la serata, dove la tematica di cui alla premessa, la fa da padrona.

Dopo la prima mezzora, arriva il momento in assoluto più toccante del concerto, quello in cui come Fabi ha detto dal palco “Ci sono momenti in cui devi fermarti e fare delle riflessioni: queste possono portarti in luoghi gioiosi come a volte invece in luoghi cupi e difficili che però vanno visitati al pari dei primi; ora vi porto con me in un viaggio un po’ pericolosino” e parte così l’intensissima esecuzione tutta d’un fiato di Dentro, Elementare, Solo un uomo, Fuori o dentro, La Promessa.

Circa venti minuti di brividi e commozione, suonati e interpretati magnificamente, alla cui chiusura ci viene dolcemente e neanche troppo ironicamente chiesto se per caso abbiamo finito i fazzoletti di carta, dato che ora serviranno per asciugarci dal sudore della seconda parte del concerto, un poco più leggera e calorosa.

Qui spiccano Costruire (“Ne abbiamo in serbo un sacco di davvero belle per voi, e questa è quella bella bella bella bella!”), Vento d’estate (secondo me non si è mai vista la gente applaudire tanto, scandendo il ritmo e cantando con tanto trasporto, manco nei live da stadio di Baglioni), E’ non è, Oriente, Offeso, Sedici modi di dire verde, perfino un medley con Aquarius (HAIR OST) a cui viene legata concettualmente per affinità di contenuti Capelli, fino alla emblematica chiusura con Lasciarsi un giorno a Roma per qualcosa come un’ora e tre quarti di musica live.

Quindi dopo i consueti inviti del pubblico, partono i bis in acustico: Fuori o dentro, Il negozio di antiquariato, e per ultima (“Perché di solito dopo questa non siamo più in grado di suonare niente altro”) la ‘canzone dedica’ per eccellenza, Ecco: altro momento intenso ed intimo cui seguirà una lunghissima ovazione del pubblico.
 
Che dire?
Due ore piene di un concerto corposo, intenso, splendidamente eseguito e altrettanto sentito dal pubblico, molto corale e perché no, anche divertente, a tratti.

Non immaginavo potesse avere tanta energia, men che meno proveniente da un simile dolore.

ECCO.

E io me lo sposerei.
Anche subito.

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