“Speriamo che non sia come l’ultimo” e altre affermazioni simili... Era la frase (posta in diverse salse) che come il prezzemolo presenziava nei commenti di praticamente ogni post della pagina “Nickelback Italia” che dava notizie o immagini relative alla realizzazione del nuovo album della rockband canadese. Eh sì, “No Fixed Address” si è in breve tempo conquistato lo scettro di “album odiato praticamente all’unanimità”, sulla falsa riga dei vari “Systematic Chaos”, “Dedicated To Chaos”, “LuLu”, “Love Beach”, ecc.. Io sono come sempre una mosca bianca e fui uno dei pochi che lo apprezzarono, pur riconoscendone i palesi difetti. Una bella manciata di idee interessanti e insolite per i Nickelback c’erano, soltanto sostenute da una produzione troppo piatta che non ne risaltava i suoni e probabilmente da un voler a tutti i costi far breccia nel mainstream. Per me quell’idea di fondo non era da buttare, solo da sviluppare meglio; sono per la prosecuzione dei discorsi una volta cominciati, ergo mi sarebbe piaciuto se il nuovo album fosse stato la prosecuzione di quel discorso, portare avanti quelle idee ma con un sound meglio costruito e più dignitoso. Personalmente mi dispiace non sentire più brani atipici come “What Are You Waiting For?”, “She Keeps Me Up”, “Miss You”, “Got Me Runnin’ Round” e “Sister Sin”.

Tuttavia alla band che considero l’ultimo grande esempio di puro ed energico rock’n’roll sulla Terra (in un’epoca dove suonano tutti qualcosa di molto alternative, indie, simil-prog, ecc.) tutte queste critiche non devono essere andate molto giù (anche se la band ha sempre dimostrato di fregarsene delle critiche)… Già siamo lo zimbello del rock a livello internazionale, dobbiamo pure diventare quello dei nostri stessi fan? Non è da escludere che sia questa la mentalità che ha partorito “Feed the Machine”; infatti la band ha preso la strada più facile per reagire alle critiche che un gruppo possa prendere: tornare al sound delle cose migliori e più riuscite; in tal caso la band non ha fatto altro che riproporre la formula che ha partorito i lavori più riusciti, “All the Right Reasons”, “Dark Horse” e “Here and Now”, ovvero quella perfetta alternanza di brani duri ed energici, che sfiorano spesso il metal, e brani invece soft, ballate prossime al pop-rock da radio e classifica. Inutile dire che la formula si rivela come allora assolutamente azzeccata; l’ascoltatore viene sbalzato di umore e di intensità energica da una parte all’altra come se niente fosse, e la cosa tiene vivo l’entusiasmo fino alla fine, senza che cali la noia.

Un disco che non aggiunge granché alla proposta recente dei Nickelback se non offrirci le stesse emozioni che ci hanno regalato in passato e farlo con convinzione. L’apertura con due brani energici e taglienti è ormai prassi e anche stavolta “Feed the Machine” e “Coin for the Ferryman” risultano idonee allo scopo. L’energia rock’n’roll assume poi connotati più funky e quasi ballabili nelle spensierate ed estive “Must Be Nice” e “For the River”, uno spirito che avevamo già trovato in “Kiss It Goodbye”, brani tutti adattissimi per l’ingresso in discoteca, quando la serata non è ancora cominciata ma si sente già aria di festa ed energia.

E come già accennato anche qui abbiamo delle azzeccatissime ballad: “Song on Fire”, “After the Rain”, “Home”, “Every Time We’re Together”, con le loro chitarre leggere ma mantenendo comunque lo spirito rock’n’roll, sono tutte degne eredi delle varie “Photograph”, “Savin’ Me”, “Far Away”, “Never Gonna Be Alone”, “If Today Was Your Last Day”, “Lullaby”, ecc.. Ballad che immagino all’inizio avranno fatto storcere il naso ad un sacco di fan, chissà cosa dissero in molti quando ascoltarono “All the Right Reason” trovandoci ben 5 brani soft, roba del tipo “ah ma stanno deviando verso il pop, verso il mainstream”, ora invece leggendo qualche commento qua e là noto che invece le ballad sono assolutamente accettate come un lato importante del Nickelback sound. Eppure quando l’album veniva annunciato dalla band si parlava in realtà di un album prevalentemente molto heavy, con poco spazio al lato soft. Probabilmente l’avrei accettato comunque ma meglio così, con un lato melodico ben rappresentato.

No, aspe’ qualche aggiunta, qualche piccola novità c’è, tipo due brani legati fra loro e con soluzioni atipiche per il gruppo: “The Betrayal (Act III)” ad esempio è un brano spiccatamente metal, dove la band sembra toccare con mano il genere anziché semplicemente lambirlo; sì, un brano praticamente metal presenzia sempre da diversi album a questa parte, si ricordino “Because of You”, “Side of a Bullet”, “Next Go Round” e “This Means War”, ma qui hanno centrato il genere più che mai; in più hanno avuto il coraggio di aprirlo con un’elaborata intro acustica alquanto insolita per il gruppo. Ma ancor più insolita è la sua controparte “The Betrayal (Act I)”, che sviluppa quell’arpeggio evolvendolo in una strumentale acustica non ipotizzabile fino ieri: chi si sarebbe aspettato mai dai Nickelback dei così elaborati fraseggi acustici? Qua abbiamo praticamente “i Nickelback che vogliono fare gli Yes”, rimanendo in territorio canadese mi ricorda perfino “Hope” dei Rush, anzi, pure più elaborata!

E poi c’è il brano energico ma non particolarmente duro, ovvero “Silent Majority”, un’energia rock sulla falsa riga dei Foo Fighters ma un’energia che non sfocia nell’hard/heavy, un brano così lo abbiamo avuto anche in alcuni album precedenti, si pensi a “Someone That You’re with” e “Just To Get High”.

Quindi un ritorno alle cose migliori per i Nickelback che sta ottenendo una grande reazione del pubblico, con concerti di gran successo e un pubblico affiatato che sembra aver accantonato la delusione del precedente album. Io, ripeto, non lo disprezzai, ma tornando alla formula a loro più consona hanno tirato fuori un album sicuramente migliore, energico e melodico a brani alterni, sicuramente rock’n’roll. Sorprende il fatto che lo abbia ascoltato più frequentemente addirittura dell’ultima release degli Ayreon, ma è la dimostrazione che anche i progster hanno un lato più rock e semplice e i Nickelback lo esprimono al massimo. Da non prendere per opera d’arte, questo no, ma consigliato da ascoltare quando si ha voglia di qualcosa di spensierato e leggero.

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