Dieci anni di carriera sono un traguardo molto importante per molti artisti in ambito musicale e non solo ed anche un punto di (ri)partenza per molti di quelli che vogliono rimettersi in gioco ed in discussione. Beppe Carletti ed Augusto Daolio decidono di festeggiarlo con l'ennesimo rimescolamento di formazione, ma soprattutto con un lavoro molto particolare e per certi versi totalmente spiazzante nella galassia Nomadi.

È il 1975 quando "Gordon" vede la luce. Il belpaese musicale è già stato squassato da diversi terremoti musicali ed anche i Nomadi decidono di partecipare alla festa. Sembra impossibile riconoscerli dalle note introduttive di "Sorprese" tanto sembrano lontani nello spazio e nel tempo i lavori precedenti (ma anche da quelli successivi), la voce di Augusto ferma e calda interviene su un tappeto volante di floydiana fattura, a raccontarci di una percorso di introspezione, quasi catartico nel porgerlo anche a se stesso... non avere troppa fretta e goditi il momento che stai vivendo è il suo (preziosissimo) consiglio, che non tarda a rivolgere in chiave futuristica al personaggio del fumetto di fantascienza "Flash Gordon" (ben 5 anni prima del ridondante carrozzone che gli dedicheranno i Queen per la trasposizione cinematografica). Anche in questo caso, il viaggio dell'astronave di Gordon verso il suo pianeta natio (Mongo) oramai spento e morto sembra volerci portare di fronte al nostro io più profondo, mettendo in allarme tutti i nostri sensi. Echi di psichedelia sixties e sapienti dosaggi di scarna ed asciutta elettronica sono il sottofondo perfetto alla voce di Augusto dispersa nel profondo del cosmo, al seguito della navicella alla deriva.

Basterebbero solamente queste due prime canzoni a fare di "Gordon" un capolavoro nel panorama della musica "leggera" italiana, ma rimane stranamente in secondo piano, tanto che anche i fans più fedeli ed "accaniti" dei Nomadi considerano questo lavoro come difficile, arrivando "persino" ad etichettarlo, non senza ragione, psichedelico... ma ancora mancano altre otto tracce e molte, moltissime altre sorprese.

"Ritornerei" è un omaggio più o meno inconscio (sicuramente innocente) alla recente deviazione colta intrapresa da Battisti e Mogol nell'esplorare nuove strutture melodiche nelle strutture-canzoni della cultura pop(olare), con dischi quali "Il Nostro Caro Angelo" ed "Anima Latina"; qui persino l'insolita linea del cantato ricorda quello svogliato e sornione di Lucio perfettamente calzante ad un testo surreale e naif, che diventa gioco di specchi fra introspezione e difficoltà nei rapporti sociali di "Come Mai", poggiato su una composizione jazzata onirica e fumosa, con il piano di Carletti che si prende tutta la seconda parte e guida perfettamente il brano al suo volgere verso i languidi e surreali territori di "Vittima Dei Sogni... una perfetta composizione di robusto pop, dall'incedere energico e rotondo per una storia d'amore sospesa sopra al filo dell'incertezza "Io un giorno o l'altro mi stancherò - Il tuo bersaglio non sarò - La vittima dei sogni tuoi - Se ne andrà, vedrai" con ancora il pianoforte in primo piano, sospeso fra quello più disimpegnato di Ray Manzarek e quello più languido di Pip Hoyle (Radio Birdman - "Man With Golden Helmet"). "Immagini" è brano tipicamente Nomadi, inserito probabilmente per aiutare il pubblico (e forse se stessi) a non perdersi, anche se la coscienza è qui dilatata e il risultato è più rarefatto e "mistico" rispetto alla loro normalità. Sensuale al limite dell'erotismo è "Senza Discutere", una sorta di prosecuzione morale e temporale di quella "Bella Senz'Anima" che solo un anno prima aveva portato Cocciante in cima alle classifiche, tanto che anche la voce di Augusto è qui tirata ed un po' al di sopra delle solite righe ed un retrogusto che ricorda alcuni momenti di quel capolavoro progressivo di "666" degli Aprhodite's Child.

Gli inserti tribali di "E Vorrei Che Fosse" oscillano in perfetto equilibrio fra lo scanzonato e teatrale vaudeville come in alcune giostrine beatlesiane ed il surrealismo lirico e slow-rock di Ivan Graziani, che di lì a qualche stagione salirà alla ribalta con dischi come "Ballata Per Quattro Stagioni" ed "I Lupi". Normale sembra anche "Il Destino" con la solita rassicurante voce di Augusto che ci consola e coccola come un tenero e bonario padre dopo una brutta caduta ed un profondo e lancinante dolore di ginocchia sbucciate, salvo farsi da parte per la lunga suite finale dal sapore un po' progressivo ed un po' spaziale... sempre tutto con la dovuta considerazione che stiamo navigando in territori pop e stiamo parlando di un gruppo come i Nomadi, anche se qui in splendida ed ispiratissima forma; come per la finale ballata alcolica da osteria "Fatti Miei" dove un certo cantautorato romano e romanesco à la De Gregori e Venditti della prima ora esce dalle sfumature del brano, sicuramente più ironico e meno cupo nel raccontare da protagonista la storia di un tradimento.

Come detto dopo questo lavoro i Nomadi intraprenderanno una nuova strada e con il successivo "Noi Ci Saremo" daranno spazio (e tempo) ad altre storie ed altri viaggi, lasciando "Gordon" come sola ed unica testimonianza "sperimentale" della loro carriera, un po' come fecero i Rolling Stones con "Their Satanic Majesties' Request".

Carico i commenti... con calma