Devo dire che i Nomadi non mi hanno mai preso più di tanto, o almeno non più della passione dei miei genitori. Alcuni anni fa ascoltai "Contro", ultimo album registrato in studio con la voce del grandissimo Augusto (una delle migliori del panorama italiano - e forse europeo - di sempre); in seguito mi vennero sotto mano "La settima onda", primo del dopo - Augusto, e lo stupendo live "Ma che film la vita". Ho sempre considerato i Nomadi come l'ennesimo gruppo melodico nato nei '60, e trascinatosi poi negli anni con discreto successo. Quando però poco tempo fa ho scovato questo vinile datato 1981, la curiosità è stata forte, e dopo un primo ascolto sono rimasto assolutamente esterrefatto.

La mia ricerca sulle fonti più comuni non ha risultato gli effetti sperati, così sono costretto a recensire con le poche informazioni che mi ritrovo nel mio modesto bagaglio culturale. Nel 1981 i Nomadi sono ormai un gruppo affermato, e dopo gli esordi (1966) improntati ad arrangiamenti prettamente anni '60, quindi ampollosi al limite dello sfinimento, e la parziale evoluzione con le cover di Moody Blues ("Nights in White Satin", Ho difeso il mio amore), ed altre canzoni quali "The revolution kind" (Come potete giudicar), "Run to the sun" (Mai come lei nessuna), "Death of the clown" (Un figlio dei fiori non pensa al domani), raccolte nell'album "Canzoni d'oltremanica e d'oltreoceano", hanno l'intuizione geniale di incidere un "Album Concerto" con Francesco Guccini, nel 1979. La scelta si dimostra azzecatissima, non solo per il fascino dell'accoppiata Nomadi - Guccini, ma anche per la straordianria abilità del gruppo in ambito live. Sul palco infatti può sprigionarsi al suo massimo livello la potentissima voce di Daolio, sorretta dall'eccellente lavoro della sezione ritmica (Paolo Lancellotti, batteria, Umbi Maggi, basso), che conferisce un suono più rock di quanto si possa intendere dallo studio, e dall'asso nella manica rappresentato dal duo Beppe Carletti - Chris Dennis, rispettivamente tastiere e chitarra - violino.

Sulla facciata A del vinile compaiono dunque cinque composizioni originali registrate in studio: I tre miti, tipico brano d'apertura, Jenny, Sera bologese, Utopia, e La mia città. Le liriche sono in generale molto buone, le musiche forse non sempre all'altezza, e si arriva in fretta al lato B. Quattro brani di immenso carisma, nei quali gli apici vengono raggiunti con la toccante Il vecchio e il bambino (Guccini) e soprattutto con la cover, tratta da Elton John (compare sul suo primo album) di "Sixty years on", Ala bianca. Non tragga in inganno la docile versione da studio: il miglior pezzo del disco si qualifica con un rock trascinante, costruito come un sentiero sul quale viaggiano all'unisono il piano di Carletti e la sempre più sorprendente voce di Daolio. Per averne un esempio, lasciarsi trasportare dal finale improvvisato del pezzo, nel quale Augusto guida tutto il gruppo secondo il suo istinto. Non credevi fa il verso a certi facili rock anni '70 - '80, ma ha una sua dignità, mentre menzione a parte merita la trovata di spezzare la storia di "Amici miei" in quattro parti, per non appesantire il risultato finale.
Il concerto fu registrato alla festa dell'Unità a Milano, e testimonia una volta di più le radici profonde del gruppo.

Sicuramente l'album non è uno di quelli che farà storia, ma a mio parere è uno di quei piccoli tesori da custodire gelosamente, perché fanno parte della nostra storia.

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