Un concerto che è come un piccolo paradiso socialista, quello di ieri (31 marzo) ai Magazzini Generali di Milano. Vanno in scena gli Offlaga Disco Pax per il ventennale di “Socialismo Tascabile”, il disco che nel 2005 rappresentò una piccola rivoluzione per la musica alternativa del paese.

Più che un concerto, un riesame del nostro passato, di quegli anni Duemila alla ricerca di un’identità, un’ideologia, dei valori saldi e indiscutibili. Perché alla fine quello che raccontava Max Collini non ci apparteneva davvero (noi della classe 1989), ma era come se volessimo appropriarci di un passato che ritenevamo più dignitoso, significativo, rispettabile. Con le canzoni degli Offlaga abbiamo viaggiato indietro nel tempo, nei decenni in cui la politica contava ancora qualcosa, per dimenticarci di essere cresciuti nel decennio della “Fine della Storia”, quello in cui il turbo-capitalismo liberista ha appianato tutto, uniformato i pensieri e lobotomizzato le menti.

In quella terza/quarta/quinta D al liceo non ci bastava l’era del benessere, volevamo qualcosa di meno facile. E le storie di Max giungevano perfette con il loro microcosmo di situazioni radicalmente differenti, inconciliabili con il nostro presente. Le ribellioni studentesche un po’ cialtrone di “Kappler”, gli amori precocissimi di “Khmer rossa”, un piccolo mondo antico di partecipazione politica spregiudicata, un universo di oggetti, videogiochi, automobili, fumetti, gomme da masticare, biscotti e barrette di cioccolato che ci sembravano irrimediabilmente migliori dei nostri. Più veri, più dignitosi, un’alternativa eroica allo stanco consumismo dei primi Duemila.

Vent’anni dopo, io e il mio amico Fil siamo in piedi in mezzo alla folla tutta pressata nel piccolo salone. Le texture sonore aprono la strada ai ricordi che si intrecciano ai pensieri del mio io attuale, l’adolescente che aveva bisogno di credere in qualcosa si affianca all’uomo che ha bisogno di recuperare una certa emozione generazionale, un brivido. Nell’intreccio di pensieri e sentimenti si fa largo una convinzione, quella di essere stati comunque fortunati ad avere un appiglio così, che i nostri sedici anni sono stati degni di essere vissuti, anche grazie alle parole di Max Collini.

Che quei testi, presi acriticamente da ragazzi, hanno davvero tantissimo da dire e raccontare, a prescindere che quel credo politico sia sensato o meno. Il solo fatto di credere in qualcosa di condiviso rappresentava (e rappresenta oggi più che mai) un’ancora di salvezza in un mondo che iniziava a franare verso la totale parcellizzazione dei significati e dei valori.

Mentre mi perdo nelle meravigliose trame post rock mi interrogo e mi chiedo se esistano oggi delle realtà simili nel panorama musicale italiano, se c’è qualcuno che mostra dei valori diversi, meno scontati, oppure se ci siamo definitivamente lasciati andare al culto sfrenato e insensato di noi stessi. Aiutatemi a dare una risposta.

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