Gli occhi di mia nonna mi hanno convinto a tornare a scrivere degli Øjne. Io adoro mia nonna. Mi ha insegnato molto, ma l'ho realizzato solo negli ultimi anni. Non le ho mai detto nulla, ma in cuor mio spero che sappia quanto sia stata importante per me. La vedo sempre più di rado. Si cresce, c'est la vie. C'est la vie, un cazzo. Talvolta la rivedo nei fine settimana. Mia nonna oggi ha la demenza senile. Per lei sono tornato davvero quel nipotino di sei anni a cui ha regalato la prima bicicletta, con cui è andata in vacanza, a cui ha insegnato a fare la pasta. Nella sua malattia si ricorda sempre benissimo il mio nome. Daniel. Non penso possa confondermi con nessun altro, è il nostro segreto. Per assicurarmi di questo, abbiamo preso l'abitudine di fare un semplice gioco. Prendiamo dall'armadio i vecchi album di famiglia, diamo una bella spolverata e iniziamo a rivivere le foto di viaggi, di compleanni, di volti, di momenti che sono incastonati nel passato. Nonna sorride, la guardo negli occhi e capisco di quanto faccia fatica a dar ordine ai suoi ricordi. Ed è in quel momento che sento una coltellata trafiggermi. Dritta nello stomaco. Un fendente che mi taglia e mi spezza in due.

La mia mente cerca di rimuovere la sensazione, ma ci pensa e ripensa senza pause. Le lame hanno aperto uno squarcio che dà su una piccola finestra di un mondo rimasto sepolto per tanto tempo. Così realizzo che non è una coltellata dolorosa, ma una coltellata necessaria. Per questo voglio perdermi negli occhi di mia nonna, perché lì, c'è tutto ciò che ero, che sono stato e che sono diventato. Sono gli occhi di chi mi ha accompagnato laddove la mia memoria non arriva. Questa è la coltellata con cui voglio convivere. Ed è qui che entrano in scena gli Øjne con "Prima Che Tutto Bruci". Lo screamo esasperato dei meneghini per il sottoscritto è, fin dai tempi di "Undici/Dodici", un'onda emotiva che urta la battigia in modo frastornante. Smuove. Cancella. Trasforma. Crea. Chiudo gli occhi e mi lascio cadere nel vuoto, venendo sommerso dalla loro malinconia. È un tuffo profondo, ma liberatorio. Un'apnea che voglio duri in eterno, senza il bisogno di ritrovare la luce dei raggi del sole. Voglio rimanere sommerso e sentire l'acqua fredda divorarmi la pelle. Risalire sull'altro lato del fiume questa volta significa scontrarsi con la violenza dei coltelli. Una violenza simbolica che pulsa nel DNA di "Prima Che Tutto Bruci" e che scorre sanguigna. È l'urlo degli Øjne che funge da disperato eco di chi quei coltelli li sente, più affilati che mai. Già, quei coltelli.

Quei coltelli che ti sgretolano ogni certezza, ogni idea. Che cambiano la tua vista sul mondo.

Quei coltelli che ti permettono di tracciare un solco netto con il passato. Che scardinano le ragnatele delle tue cicatrici.

Quei coltelli che ti fanno male, nel fisico, nella mente. Che porti sempre con te, nascosti, ma pesanti.

Quei coltelli che ti si conficcano nei rimorsi e nell'apatia. Che cerchi di usare come arma contro i tuoi errori.

Ma alla fine ci sono anche e, soprattutto, quei coltelli che non sono fatti di metallo, ma di parole, di abbracci, di telefonate, di sguardi, di gesti. Che sono emblema della tua fragilità. Proprio come gli occhi di mia nonna. Ecco la genesi di questo pezzo sugli Øjne. Perché sì, recensione è dir troppo. "Prima che tutto bruci" e che tutto scivoli via sbiadito, indistinto è quel promemoria che sentivo necessario. Urgente. È uno di quei dischi che ti fa prendere coscienza, un po' come mi fece simile effetto ormai 6 anni fa "You, Me & The Violence", come la "violenza" sia parte di noi, in modo molto più intimo di quanto si possa immaginare. Quindi sì, ***** non ve le toglie nessuno, cari miei. E, anche questa volta, grazie.

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