"Okkerbel castello, marcondiro ndiro ndello"...
Ogni tanto fa bene avere qualche conferma: nero su bianco, gli Okkervil River sono un gran gruppo. Ma non lo sono sempre stati: questo disco è la fotografia di un processo in atto. Non cercate il grande disco, è un altro il loro capolavoro: quell'umbratile "Black Sheep Boy" di qualche anno successivo.
Questa è la recensione del disco immediatamente prima (EP esclusi) uscito nel 2003 e porta alla ribalta un gruppo di buona caratura, senza quella marcia in più che lo faccia spiccare, ma con tutto il potenziale per venire fuori. Insomma questo disco ha il merito di provare che un gruppo musicale possa evolversi in meglio senza cambiare di una virgola, trovando il tiro giusto e le canzoni, talento permettendo.
Un po' lascia l'amaro in bocca, perché l'album si apre con una "It Ends With A Fall" di una bellezza struggente (con un inciso da brivido) per poi trascinarsi via in un indie folk interessante, spesso intenso, alle volte lagnoso, ma, secondo il mio modesto parere, senza quella zampata che gli ti faccia prenotare un posticino nella cripta di famiglia.
Traspare in ogni pezzo una urgenza di comunicare, di lasciare uscire quello che si ha dentro che tende a fagocitare tutti gli elementi. Ed allora ecco cantato sbilenco, sporco, spesso stonato, ostinato, isterico (vedi "The War Criminal Rises And Speaks"), accompagnato dalla chitarra acustica sempre in evidenza, mentre in sottofondo si dipanano ricche melodie fatte di archi, fiati, organi, mellotron, wurlitzer, insomma l'armamentario indie d'ordinanza, con retrogusti spesso soul. Sul piatto c'è tutto il mondo interiore del frontman Will Sheff, coi suoi rapporti spesso problematici con l'altro sesso, le sue disillusioni, i suoi sogni che hanno modo di trovare tantissime parole per venire fuori, in un flusso di coscienza distribuito lungo undici brani per 46 minuti d'ascolto.
Dunque disco consigliato? Solo ai fan del gruppo.
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