A ciascuno di noi, più o meno frequentemente, può capitare di essere talmente straincazzato con il mondo intero (più difficilmente con sé stessi) da avere il bisogno irresistibile di vomitare la propria rabbia, il proprio odio in qualche modo. Si cerca una valvola di sfogo e però si sa come si inizia, ma non si sa come va a finire. Giusto per farsi un'idea al riguardo, ecco un film cosiddetto minore di Oliver Stone: si tratta di "Talk Radio" ed ogni volta che lo rivedo non posso non ammettere che sia un film talmente potente da poter essere assimilabile ad un horror movie pur non ricorrendo ad effettacci splatter.

Intanto, quando la pellicola uscì nel 1988, Oliver Stone era già affermato dopo film del calibro di "Salvador", "Platoon", "Wall Street". Eppure "Talk Radio", almeno per quanto riguarda le reazioni del pubblico italiano, non riscosse un grande interesse. Il retropensiero era sostanzialmente che si trattasse di un'opera troppo yankee dal momento che, per quanto era dato vedere, in America era fin troppo facile trascendere da scambi dialettici vivaci al punto di prendere un'arma da fuoco ed ammazzare qualcuno. Non era già successo che un fan squilibrato aveva ucciso nel 1980 il povero John Lennon reo solo di essersi un po' imborghesito? Insomma, senza nulla togliere alla perizia tecnica del regista Stone, "Talk Radio" sembrava l'esempio di un'ennesima stranezza americana. Ed effettivamente "Talk Radio" si basa sul libro e sull'opera teatrale "Talked to death : the life and murder of Alan Berg" dedicata proprio a questo speaker radiofonico Alan Berg, ucciso nel 1984 da un suprematista bianco neonazista. Tutto vero, ahimè, e nella pellicola cambia solo il nome del protagonista che è Barry Champlain, interpretato da un superlativo Eric Bogosian, ma per il resto quello a cui si assiste è la fedele rappresentazione di una vicenda incredibile ma vera.

Champlain conduce la trasmissione "Voci della notte" per una radio privata di Dallas. L'indice di ascolto e gradimento è elevato, molti radioascoltatori telefonano (e vanno così in onda) per sfogare i propri problemi, le proprie menate. E Barry Champlain, loquace, dotato di un 'acuta intelligenza, non si tira indietro a dire la propria, mettendo in risalto la meschinità, la piccineria esistenziale ed ideologica di questi ascoltatori troppo vittimisti e limitati, incapaci di imprimere una svolta alla propria vita. Se poi si aggiunge che Barry è ebreo e non le manda a dire a certi neonazi che telefonano, beh il quadro è completo e la fine tragica è annunciata (della serie telefonate e missive minatorie).

Il film, a mio parere, ha vari punti di forza. Intanto Oliver Stone si trova a suo agio a dirigere un'opera così verbosa e non può essere altrimenti quando si rappresenta l'odissea di uno speaker radiofonico (quando mai un personaggio così dovrebbe apparire laconico?). Non solo, il protagonista non viene presentato come una specie di stinco di santo, se solo si tiene conto di come la sua vita privata sia molto incasinata fra amanti ed ex moglie con cui i rapporti sono ancora un po' teneri. Anche lui, quindi, è sotto sotto un infelice esattamente come quelle persone che telefonano alla trasmissione "Voci della notte".

E queste persone danno voce alle proprie paure, insoddisfazioni, ma soprattutto mi ricordano come il cosiddetto Logos diventi carne, ma ciò non è sempre un gran bel vedere e sentire. Ognuno di noi parla, ma spesso e volentieri non ci si trova di fronte a pozzi di scienza. Al punto che, purtroppo, risulta vero come le parole non siano solo "flatus vocis", ma siano vere e proprie pietre (o, come in questo caso, proiettili sparati dal possessore di un'arma da fuoco). Lo stesso Barry, ad un certo punto, acquisisce la consapevolezza di essere al centro di una sarabanda cacofonica e si lancia in un monologo in diretta radiofonica in cui vomita il suo disprezzo verso i radioascoltatori e li invita a smettere di chiamare per dire solo cazzate. In quel momento l'espressione del volto dello speaker è indimenticabile, mi pare che esprima al meglio l'orrore provato da chi, fissando l'abisso, se ne sente perversamente attratto e lo rifugge.

Avevo prima ricordato come nel 1988 un film come "Talk Radio" apparisse squisitamente yankee, ma se allora si narrava di un fatto vero nell'ambito delle radio private, oggi la sensibilità è mutata. Se ieri c'erano i cosiddetti leoni del telefono, oggi è ben noto (anche in Italia) il fenomeno dei leoni da tastiera, in grado di esprimere, dietro nickname, solo odio sui social del web. Il panorama globale umano è decisamente peggiorato e, solo per rimanere ai gruppi politici suprematisti e filonazisti, s'è visto cosa è successo in questi ultimi anni negli Usa del presidente Donald Trump. Insomma, anche per queste ragioni rivedere un film come "Talk Radio" può risultare salutare.

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