I sette vizi trascritti, anzi, tradotti in musica. Meglio, in suoni. Superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia, accidia, con l’aggiunta di un vizio, il mio vizio. La superbia (“Flowers On Pride”) suona maestosa, a volte invadente e di sicuro ingombrante. Ma al tempo stesso sa essere elegante, sa nascondere la paura, sa trasformarla in pulsione attiva. L’avarizia (“Avarice”) sa da minaccia, è grezza e senza scrupoli. E quando sembra stia per spegnersi, le ultime pulsazioni stanno ad indicare che essa non muore mai. Al massimo si nasconde. E lo fa solo per lasciar spazio alle dolci note della lussuria (“Lust”) che trasporta con estrema, ma spontanea, scorrettezza attraverso le pacifiche note di flauto e piano, che fluiscono attraverso quei cori celestiali. Tanta ingenuità, alla lunga non sorprende, ma indurisce. Ed ecco che il mio vizio (“My vice”) prende forma per contrastare tutto il resto, per renderlo più palpabile, meno metafisico.
L’ira (“Ira”) non è altro che il prendere forma del mio vizio, che era di per sé una sola introduzione all’oscurità, fin troppo accentuata, ma estremamente concreta ed espressiva, quasi a voler rinnegare subito tutto ciò che lo precede. Gola (“Gluttony”) è un qualcosa di difficile da esprimere, ma molto semplice da volere. Il delizioso fluire di visioni estremamente volitive contrasta, e in un certo modo completa, l’altra fetta della torta (o l’altra faccia della medaglia?) che non vuole cedere alle lascive lusinghe dell’adrenalina. L’invidia (“Envy”) però, consuma, mangia, rosica, non lascia spazio altro che all’arresa dell’accidia (“Sloth”). Ah, la tanto sospirata conclusione. La pigrizia, l’ozio. Siamo venuti al mondo solo per cazzeggiare, non fatevi convincere del contrario, disse qualcuno. Aveva ragione.

Fra avanguardia, classicismo, accenni progressivi e tanta fantasia, nonché grande classe, gli Opus Avantra (Avan = avanguardia – tra = tradizione), hanno consegnato all’Italia e al Mondo quest’opera, a mio avviso fenomenale, che - fra la tortuosità delle composizioni, con un occhio rivolto verso Canterbury (troppo?), ma senza dimenticare le melodie, a tratti commoventi, comunque sempre estremamente raffinate – si è rivelata bellissima ed indimenticabile, anche per gli insoliti canoni sonori che escono dal disco.

Carico i commenti... con calma