Forse da una band come gli Orange Goblin non ci si aspetta più di quanto effettivamente danno: riff sabbiosi, ritornelli panino e birra in salsa "festa di paese", ritmi rockeggianti, qualche rutto, qualche viaggio spaziale. Difficile trovare nella loro proposta un messaggio anche solo "tematico" più profondo del solo intrattenimento musicale. Un "comportamento" che i fans di Ben Ward & Co. hanno imparato ad accettare: d'altronde è il "credo" stesso della band londinese a non essere proriamente originale e profondo, visto che gli OG hanno mutuato, fatto loro e riproposto sul suolo inglese quello che i Kyuss avevano fatto esplodere qualche anno prima in California: il nostro Goblin ha annusato l'aria, variando qualche volta le linee generali della sua musica. E' quello che in parte è accaduto in "Thieving from the house of god", lavoro pubblicato nell'aprile del 2004.

Per capire meglio il percorso che ha portato al concepimento di questo platter è bene fare un piccolo passo indietro: i primi lavori, in particolare "Frequencies from planet ten" e "Time travelling blues", seppur con leggere contaminazioni (soprattuto psichedeliche nel secondo), erano dischi di stoner puzzolente, sgraziato e profondamente debitore alla creatura di Josh Homme e John Garcia. Discorso che è iniziato a mutare con il cd "The big black", più oscuro, più doom e allo stesso tempo più tendente verso un hard rock "sporco" e personale. Elementi ricorrenti anche in "Coup de grace" (2002) e puntualmente presenti anche in TFTHOG. In particolare si percepisce un leggero allontanamento dallo stoner primordiale, in favore di un hard rock più canonico, seppur contraddistinto dalla solita attitudine grezza degli inglesi. Ma proprio i pezzi più rock e meno "metal" sono quelli che convincono di meno, come se la band si fosse trovata su dei carboni ardenti, alle prese con qualcosa che non le appartiene totalmente: è il caso di brani quali "You're not the one" e "If it ain't broke, break it" che appaiono flosci, privi di smalto. Altri piccoli problemi di questo lavoro sono riscontrabili nella produzione e nella voce di Ward. Gli Orange Goblin, almeno nei primi lavori, hanno sempre puntato sulla ruvidezza sonora, senza preoccuparsi troppo della pulizia. In questo modo sono venuti fuori dischi che dal punto di vista della "pulizia sonora" non hanno mai entusiasmato. "Thieving from the house of god" però sembra eccedere in questa caratteristica, così che il risultato finale appare troppe volte confusionario. L'altro problemino riguarda Ben Ward: non che la sua voce sia d'un tratto diventata insopportabile, ma questo quinto lavoro a tratti sembra essere quasi un cd solista del singer, data la sua egemonia assoluta all'interno della struttura dei pezzi.

Difetti più o meno evidenti che vengono in qualche modo "appianati" dalla solita carica tellurica dei londinesi, capaci si di smorzare in parte la loro verve desertica, ma allo stesso tempo di suonare incazzati e convincenti come sempre: "Some you win, some you lose", "Lazy Mary" e "One room, one axe, one outcome", con il suo intro oscuro governato dal basso di Martyn Millard, sono composizioni che sottolineano quanto appena detto. Heavy metal che si mescola con uno stoner rock carico di pathos ed energia: formula non originale, ma sapientemente costruita dagli OG.

"Thieving from the house of god" è il classico cd "intermedio" di una band: quello che serve un po' da veicolo per provare altro, dopo essersi espressi attraverso un genere ben codificato. Parliamo di uno dei lavori minori nella carriera del Goblin, ma nel complesso è un capitolo accettabile, più di altri esperimenti "intermedi" tentati da realtà con un nome anche molto più "pesante" rispetto a quello degli Orange Goblin.

1. "Some You Win, Some You Lose" (3:19)
2. "One Room, One Axe, One Outcome" (5:28)
3. "Hard Luck" (2:30)
4. "Black Egg" (5:04)
5. "You're Not The One (Who Can Save Rock n' Roll)" (2:20)
6. "If It Ain't Broke, Break It" (5:25)
7. "Lazy Mary" (3:17)
8. "Round Up The Horses" (5:32)
9. "Tosh Lines" (1:21)
10. "Just Got Paid" (3:31)
11. "Crown Of Locusts" (9:23)

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