La voce di una vecchia dea.

E la divinità, si sa, non ha età. Dunque, semplice ed altissima, la voce di una dea che, incidentalmente, si avvicina agli ottanta come pochi hanno diritto ed onore di sperare.

E qui non siamo nella piazzetta da salamini e mazurkette che ospitano solitamente le note delle vecchie glorie. Qui siamo al Blue Note, succursale milanese del tempo/marchio americano. Insomma: non il live qualunque. Ma neanche un concerto jazz. Un'opera che unisce astuzia e capacità, paraculismo e tecnica, furberia ed anima. Insomma: le caratteristiche di una vera artista, invecchiata bene.

Pochi, tutto sommato, i classici del repertorio della Vanoni. E tante, tante, tante cover.

Tutte belle? Forse. Sicuramente Ornella, come Mina, può cantare quel che vuole, come prima di lei Frank o Chet, per dire i primi due che -non certo a caso- mi vengono. Veri Re Mida della voce.

Ed ecco allora che sembra un bravo autore persino Antonacci, che un Ron (per me) già declinante sembra un maiuscolo, e che tutto, in breve, gira per il verso giusto. Persino i suoni sono notevoli (la mia perizia tecnica, sul punto, è piuttosto limitata, ma l'opera mi par esser molto ben registrata e post-prodotta). Tutti suonano da dio, e la dea del vibrato (forse un po' accentuato, com'è normale, per tutti, anche gli dèi, con l'età) vola altissima e perfettamente intonata, come sempre.

Splendida poi l'idea del lasciare tutti gli interventi parlati, pregiandoli di tracce autonome. Divertenti e divertiti. Obiettivamente "vanonissimi", ed è come sentirsi a casa. Era, forse la è ancora, forse non l'è più..., l'Italia che ci piaceva. Quella che esaltava, e premiava le eccellenze, non le mediocrità televisive da stanco laboratorio tanto lucido quanto vuoto.

Insomma, un disco che conferma un principio che già sapevamo, ma che, come tutte le certezze, ha bisogno di periodici e rassicuranti conferme: la Vanoni, insieme a Mina, sta a centomila anniluce dalle altre, irraggiungibile neanche a curvatura nove.

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