Certo che per architettare un'operazione del genere se va bene bisogna essere decisamamente svalvolati.

E non mi riferisco al fatto di coverizzare integralmente un lavoro altrui: il valente mùsico di Yokohama non è certo il primo a lanciarsi in un simile tuffo carpiato e non (credo) sarà neanche l'ultimo.

Il fatto "preoccupante" è che ci troviamo al cospetto di un assoluto caposaldo, di quelli che fanno tremare le zampe al solo nominarli e che risultano parte significativa della storia delle "nostre" musiche preferite di tutti i tempi.

Cercare di plasmare cotanta materia incandescente può essere assai rischioso: si può uscirne con le ossa liquefatte.

Eppure.
L'omaggio di questo amabile gaglioffo dagli occhi mandorlati e della folta congrega che lo asseconda in questo abbozzo di vituperio (pubblicato nel 2005 da una misconosciuta
etichetta: Doubtmusic), risulta al contempo impegnativo e spettacoloso!

La riproposizione del terzultimo lavoro sulla lunga distanza, risalente alla prima parte dei sessanta, partorito dalla vulcanica mente dello storico musicista afro-americano, non solo riesce nell'arduo compito di non far ribaltare le mortali spoglie del nostro all'interno del sarcofago - e già questo sarebbe un definitivo Ace al primo Match Point - ma configurasi in un entusiasmante tortura per l'apparato uditivo tutto: e non credo solo di quelle del solito fanatico/completista o della "ampia" cerchia dei seguaci del musicista Losangeleno che si pregiano di conoscere ogni singolo frangente di questo frammento di storia (non solo del gezz).

La tracklist viene riproposta in rigorosa (e fragorosa) sequenza così com'era in origine:

ciò che, diciamo così, "iniettano" Otomo e i suoi (molti) fratelli è quel pizzico di follia dinamitarda di matrice free-jazz anni duemila, con un approccio esecutivo libertàrio e certosinasamente cacofonico - ma poi neanche tanto - figlio (anzi nipote) del momento nel quale questo disco è stato pensato e catturato che, forse, per motivi anagrafico-strutturali non sarebbe potuto esistere nel disperso 1964.

E così ci lasciamo allegramente travolgere dalla rilettura al tritolo di "Gazzelloni" e dalla esiziale "Hat And Beard" oltre che dallo squassante dittico finale "Straight Up And Down - Will Be Back": ci sarebbe da citarle tutte, as usual.

I brani vengono bistrattati a dovere: "rinfrescati" dal trattamento della banda a delinquere, senza perdere neppure un'oncia della meravigliosa carica e del fascino sempreverde del disco che fù.

Lo si sarò intuito: il disco è proprio brutto.
Anzi: non mi piace(va) manco l'originale.
Oh.

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