Dalle note di wikipedia:

Anatomia di un omicidio (Anatomy of a Murder) è un film del 1959 di Otto Preminger tratto dall'omonimo romanzo di Robert Traver.

Nel 2012 è stato scelto per essere conservato nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti d'America.

In una cittadina del Michigan, nell'imminenza di un processo per omicidio, la moglie dell'accusato chiede di difendere il marito, Tenente reduce dalla guerra di Corea, all'avvocato Paul Biegler, che cerca di dimenticare la delusione per la recente perdita del posto di pubblico accusatore impegnandosi solo in piccole cause e dedicando gran parte del tempo alla pesca e al bourbon...

La donna, che ama il divertimento e la provocazione, afferma di essere stata violentata dal gestore di un bar, successivamente affrontato e ucciso a colpi di pistola di fronte alla clientela da suo marito che si è poi costituito. L'avvocato, spinto ad accettare la causa da un amico, ex valente giudice alcolizzato…

Ok basta così.

Anatomia di un omicidio, insieme con La Parola ai Giurati di Sidney Lumet è uno dei primi legal drama ed è tuttora considerato tra i migliori nel suo genere.

L’avvocato Paul Biegler è interpretato dal grande James Stewart.

Il Tenente Manion è un giovane Ben Gazzara, la moglie Laura Manion è la bellissima Lee Remick, sarà celebre la sua interpretazione nel magnifico film di Blake Edwards che verrà 3 anni dopo, Il Giorno del Vino e delle Rose, dove interpreterà la moglie, alcolizzata, di Jack Lemmon (alcolizzato pure lui).

Di rilievo anche l’interpretazione di uno dei due giudici accusatori, George Scott, qua al suo secondo lungometraggio. Lo troveremo in altri capolavori a seguire, Lo spaccone e Il Dottor Stranamore, giusto per dirne un paio.

Il giudice del processo è (sempre dalle note di wikipedia) Joseph N. Welch. Era stato nella vita reale un celebre avvocato, che aveva difeso i vertici dell'esercito statunitense presso il comitato per le attività antiamericane presieduto dal senatore McCarthy. Divenne famoso per aver zittito McCarthy con la frase: "Lei non possiede senso della decenza, signore? In fin dei conti, non le è rimasto un senso di decenza?" guadagnandosi l'applauso dell'uditorio. Il film fu la sua unica - molto apprezzata - interpretazione per il grande schermo, grazie alla quale lavorò poi alla televisione americana in programmi culturali.

Memorabili la colonna sonora di Duke Ellington che compare anche in un cameo (duetta al piano con James Stewart) ed i titoli di Saul Bass.

Certo che leggendo il titolo, la trama, ci si aspetta un film drammatico, straziante e intenso lungo i suoi “lunghi” 160 minuti, ma non è così.

A sorpresa, il tratto distintivo che accompagna la pellicola è l’ironia, parafrasando Lucio Dalla avvertiamo un tono da commedia americana per finir bene la settimana, anche se io l’ho visto solo di martedì…

Il film ha un ritmo costante e calibrato, non ha cedimenti, impantanamenti, non gira mai a vuoto. Procede spedito, insomma fila liscio che è un piacere (caratteristica dei capolavori).

Si sorride e si ride spesso e volentieri. Dialoghi incalzanti, battute al vetriolo, tanta ironia, di quella buona, intelligente, raffinata.

In questo contesto la colonna sonora di Duke Ellington (un grande boxeur – cit.) è perfetta nell’accompagnare le varie sequenze ed è anch’essa calibrata, mai invasiva, insomma ha lo stesso ritmo del film, un film jazz diciamolo pure.

Quindi ironia, freschezza, modernità e direi, per i tempi, sfrontatezza. All'epoca della sua uscita nelle sale cinematografiche americane, suscitò un vero scandalo in quanto era la prima volta che si usavano parole come "mutandine" e per questo la pellicola subì un attacco da parte dei puritani che consideravano il film "sporco".

Attenzione però perché il film non è solo jazz e risatine. Questi elementi vestono il film in un certo qual modo ma siamo comunque in presenza di un legal drama a tutti gli effetti.

Affronta e analizza con passione e dovizia di particolari, i meccanismi della legge e la sua interpretazione.

Indimenticabili le varie sedute al processo che occupa la seconda parte del film.

Più che solida la caratterizzazione dei personaggi: Manion è il clichè del giovane marito geloso, risoluto, arrogante. La giovane avvenente moglie è il clichè della donnetta che ama alzare il gomito, che va nei bar a far impazzire gli avventori mentre gioca a flipper in gonna senza calze e a piedi nudi! (ricordo che siamo nel 1959). Il giudice Dancer, dell’accusa, è uno squalo spietato e scaltro. Insomma sono tutti perfettamente delineati, forse troppo (??).

Ad ogni modo, far le pulci a quest’opera (d’arte) è esercizio sterile. Le 5 pallozze se le prende senza chiedere il permesso e se ne va voltandoti le spalle, fischiettando e facendo giocolare in aria le 5 palle che gli hai appena regalato.

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