Eccoci qui a recensire un debutto di una band di cui si è parlato molto in ambiente prog-power metal. Sto parlando degli Outworld, un gruppo che a mio avviso può dire qualcosa di buono se non per qualche difettuccio qua e là. Ma soprattutto potrebbe dire qualcosa di veramente buono se i componenti della band cercassero di creare qualcosa di veramente personale e originale.
Perchè la sensazione, ascoltanto questo debut album, è che, per quanto sia di una discreta qualità, ben suonato (e dopo vi dirò il perchè), non aggiunge nulla, ma dico nulla di nuovo al panorama prog-power metal, risultando a tratti prevedibile e scontato. Dicevo ben suonato. Infatti il gruppo non è altro che una creazione di quel robot chitarristico che è Rusty Cooley, che si è circondato di un bassista altrettanto robotico, di un ottimo batterista e di un cantante che a mio avviso non è granchè, però fa il suo dovere gridando, urlando e lanciando acuti non indifferenti, già sentiti per carità, ma comunque sempre d'effetto.
E forse il buon Cooley ha fatto bene a circondarsi di altri musicisti: quel che ne esce fuori in tutti i brani è un riffing di qualità, veramente buono e interessante ogni sezione ritmica delle song, anche se abbastanza scontata in alcune canzoni, con cambi di tempo spesso "telefonati". Il disco naturalmente parte con potenza e con un riff accattivante, sostenuto da una sezione ritmica eccellente: "Hell raise" parte benone, poi il cantante (un certo Kelly "Sundown" Carpenter che ha lavorato anche con i Beyond Twilight) ci regala una prestazione che a tratti sembra stonata e fuori luogo. Il brano rimane senza spunti particolari, ma è interessante sentire il tappeto tastieristico creato da Bobby Williamson. Da notare un bell'assolo di mr. Cooley, seguito da un assolo un pò deprimente di tastiera, dal suono veramente brutto e molto da videogioco.
Il seguente brano "Riders" parte con una sezione velocissima in sweep di Cooley, ma ci sta bene all'interno del brano, essendo abbastanza corta: il brano continua bene, il singer ora si mostra più amalgamato al resto della musica. la canzone ha sezioni più aggressive per poi tornare su lidi più melodici, per una svolta definitivamente romantica alla fine della canzone. "Warcry" presenta le caratteristiche sopracitate: un riff accattivante, anche se non originalissimo, parti ritmiche azzeccate a assoli veloci ma non fastidiosi. In pratica è tutto quello che sentiremo in questo disco: un prog-power accattivante ma nulla di originalissimo. La Title track parte con un arpeggio di chitarra ed esplode molto bene: la nota dolente è forse il cantante. Ha un'estensione vocale buona, ma ha un timbro un pò fastidioso. Interessante la sezione centrale molto tecnica ed elaborata. "The never" è martellante dalle sonorità orientaleggianti, mentre "City of the Dead" inizia riflessiva e si sviluppa successivamente in furiosi assoli. Finora è il pezzo che meno apprezzo: molto autocelebrativo e scontato." Prelude to madness" mi presenta uno strano strumentale, anche abbastanza corto, con protagonista una fastidosa chitarra. Inutile. Inizia invece con un ritmo molto power e incalzante "The grey Tide". Ma è una canzone molto lunga, noiosa e nei suoi continui cambi di sonorità, di tempo e d'atmosfera risulta banale e prevedibile. "I. Thatanos" non aggiunge nulla al disco, così come la bonus track giapponese "Polar": entrambe lunghissime e senza sviluppi interessanti.
Il disco tutto sommato non è malaccio: per chi apprezza questo genere sicuramente avrà di che cibarsi, ma ripeto ancora una volta: è un disco che trita e ritrita soluzioni gà sentite o comunque per nulla originali. Un inizio non scadente del tutto, ma che serva per sviluppare qualcosa di veramente interessante nel futuro.
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