Robyn Hitchcock (full band) - Cambridge, Portland Arms - 6 September, 2024.complete.
"Il discepolo della psichedelia"
Leggo, copio & incollo l'intero articolo di Antonio Bacciocchi:
Robyn Hitchcock è sempre stato un discepolo fedele della breve epica e attitudine sonora di Syd Barrett, che ha permeato la sua prima avventura con i Soft Boys e la successiva incarnazione solista.
Non stupisce quindi che questa sua autobiografia 1967 (edita da Hellnation Libri, tradotta da Carlo Bordone) ruoti pressoché esclusivamente intorno a quel fatidico 1967 che sublimò il periodo psichedelico e ai suoi quattordici anni, quando scoprì e si innamorò di Bob Dylan, della Incredible String Band e, inevitabilmente, dei Beatles, in una sorta di sgangherato quanto fascinoso romanzo di formazione.
I flash preadolescenziali sono abbaglianti fotografie che abbiamo un po’ tutti vissuto: «Non vedo l’ora che la mia voce si abbassi, che mi cresca una peluria rispettabile e di abbandonare finalmente lo scricchiolante reame della fanciullezza». Arrivano anche entità aliene come David Bowie e Jimi Hendrix a incendiare ancora di più il cambiamento in corso: «Sono un adolescente in fiamme, Cristo santo, questa è musica che ti fa levitare».
I vestiti diventano più audaci, i capelli si allungano: «Sto imparando che il barbiere è il nemico naturale della libertà». Anche se il periodo di transizione è ancora lungo e complesso: «Una cultura in cui sono tutti maschi e le donne sono un’altra specie, esistono solo dietro a un vetro, come una Monna Lisa. Ci sono le persone e poi ci sono le femmine».
Improvvisamente si aggiungono un giradischi e una chitarra e nulla sarà mai più come prima: «Ho la mia chitarra e mio cugino, sia benedetto, mi presta uno di quegli oggetti che ti cambiano la vita: un giradischi a pile».
Cambia anche il tanto agognato aspetto fisico: «Sono alto un metro e ottanta e con un caschetto alla Beatles» ma anche una constatazione postuma illuminante, che in molti possono condividere, che resterà la colonna portante della sua esistenza: «Sono un adolescente e lo rimarrò per il resto della vita».
Incomincia a suonare sopra ai tanto amati dischi dei nuovi idoli: «Il mio istinto è suonare la chitarra molto prima di avere imparato a suonarla».
Alla fine Robyn vivrà con la sua musica, girerà il mondo, inciderà eccellenti album, rilascerà interviste a quelle riviste che spulciava freneticamente da adolescente, seguendo quello «spirito del 1967» da cui è partito. «A parte tutto sono grato che l’orologio fermo del 1967 rintocchi ancora dentro di me. Mi ha dato un mestiere per la vita».
Un libro semplicemente delizioso. Il discepolo della psichedelia | il manifesto
"Il discepolo della psichedelia"
Leggo, copio & incollo l'intero articolo di Antonio Bacciocchi:

Robyn Hitchcock è sempre stato un discepolo fedele della breve epica e attitudine sonora di Syd Barrett, che ha permeato la sua prima avventura con i Soft Boys e la successiva incarnazione solista.
Non stupisce quindi che questa sua autobiografia 1967 (edita da Hellnation Libri, tradotta da Carlo Bordone) ruoti pressoché esclusivamente intorno a quel fatidico 1967 che sublimò il periodo psichedelico e ai suoi quattordici anni, quando scoprì e si innamorò di Bob Dylan, della Incredible String Band e, inevitabilmente, dei Beatles, in una sorta di sgangherato quanto fascinoso romanzo di formazione.
I flash preadolescenziali sono abbaglianti fotografie che abbiamo un po’ tutti vissuto: «Non vedo l’ora che la mia voce si abbassi, che mi cresca una peluria rispettabile e di abbandonare finalmente lo scricchiolante reame della fanciullezza». Arrivano anche entità aliene come David Bowie e Jimi Hendrix a incendiare ancora di più il cambiamento in corso: «Sono un adolescente in fiamme, Cristo santo, questa è musica che ti fa levitare».
I vestiti diventano più audaci, i capelli si allungano: «Sto imparando che il barbiere è il nemico naturale della libertà». Anche se il periodo di transizione è ancora lungo e complesso: «Una cultura in cui sono tutti maschi e le donne sono un’altra specie, esistono solo dietro a un vetro, come una Monna Lisa. Ci sono le persone e poi ci sono le femmine».
Improvvisamente si aggiungono un giradischi e una chitarra e nulla sarà mai più come prima: «Ho la mia chitarra e mio cugino, sia benedetto, mi presta uno di quegli oggetti che ti cambiano la vita: un giradischi a pile».
Cambia anche il tanto agognato aspetto fisico: «Sono alto un metro e ottanta e con un caschetto alla Beatles» ma anche una constatazione postuma illuminante, che in molti possono condividere, che resterà la colonna portante della sua esistenza: «Sono un adolescente e lo rimarrò per il resto della vita».
Incomincia a suonare sopra ai tanto amati dischi dei nuovi idoli: «Il mio istinto è suonare la chitarra molto prima di avere imparato a suonarla».
Alla fine Robyn vivrà con la sua musica, girerà il mondo, inciderà eccellenti album, rilascerà interviste a quelle riviste che spulciava freneticamente da adolescente, seguendo quello «spirito del 1967» da cui è partito. «A parte tutto sono grato che l’orologio fermo del 1967 rintocchi ancora dentro di me. Mi ha dato un mestiere per la vita».
Un libro semplicemente delizioso. Il discepolo della psichedelia | il manifesto
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