Chiese dalle navate immense e con volte protese all’infinito. Lunghe processioni di monaci accompagnate da sommessi canti gregoriani. La dura e nuda pietra testimone di secoli oscuri e passati. Luoghi in cui il silenzio è voce e dove la parola è solo menzogna. Queste sono solo alcune delle sensazioni che si provano all’ascolto di questo Gothic Impressions del tastierista svedese Par Lindh, un disco che inevitabilmente proietta ad atmosfere mistiche e cupe.

Composto negli anni ’70 ma pubblicato solo nel 1994 si tratta di una delle migliori commistioni tra la musica sinfonica ed il rock. Par Lindh, diretto discendente dei grandi Rick Wakeman e Keith Emerson, eredita da questi la passione per la musica classica, nonché quella visione globale che permette di unire generi così disparati come il classico (ed in questo caso la musica sacra) ed il rock. Meno dedito, rispetto ai suoi sommi maestri, all’esibizionismo fine a se stesso, Par Lindh riesce a creare un affresco di rara bellezza, in cui i suoni molteplici delle sue tastiere riescono a ricreare un’atmosfera magica e solenne e proiettare l’ascoltatore in un mondo, quello monastico, fuori dagli schemi e dalla nostra quotidiana concezione del tempo. E’ l’ombra la protagonista assoluta di questo disco, ma non un’ombra intesa come elemento negativo, ma un’ombra che ammanta con i suoi veli l’ipocrisia del quotidiano, che ci prende per mano e ci conduce in strati dell’esistenza oramai dimenticati. L’intro di Dresden Lamentation, dolce, soffusa, ma inquietante allo stesso tempo, con gli archi ricreati dalle tastiere ci introduce in questo monastero immaginario (io lo interpreto così) per poi lanciarsi in The iconoclast, dove l’organo a canne ed il mellotron si rincorrono senza fine ed la voce afona, gregoriana di Divad Jonsson ci culla in tutti i sette minuti in cui la sacralità della musica è palpabile in ogni nota. Par Lindh si cimenta, con risultati lusinghieri, anche al basso e alla batteria, ma sono le sue tastiere, i suoi organi ecclesiastici, ad elevare il prodotto a capolavoro, così come nella successiva Green Meadow Land ancora gli archi ed il flauto di Bjorn Johansson ricreano un’atmosfera di tipico prog romantico, Genesis style per intenderci. L’atmosfera diventa più rilassata e luminosa e diventa forte la sensazione di trovarsi magari in uno dei giardini del monastero, a contemplare la natura in tutta la sua bellezza e perfezione. Ma quando il cuore è già colmo di sentimenti l’esplosione avviene con la successiva The cathedral, dedicata alla cattedrale di Charter. Un organo solenne, mestoso vi eleverà oltre le volte immense della cattedrale e all’interna di questa impazziscono le tastiere di Lindh, ora sacre, ora profane. Da lacrime un intermezzo liuto e flauto con ancora la voce unica di Jonsson e, dopo 19 minuti di estasi mistica, ancora l’organo a canne, in tutta la sua potenza, conclude un viaggio in cui riportiamo a casa il nostro cuore piegato alla grandezza della musica. Gunnlev’s round è una delizia medievale, danza folk, nenia accompagnata dal clavicembalo, flauto e voce femminile. In pieno stile Emersoniano conclude un rivisitazione della Notte sul Monte Calvo di Mussorgsky, dirompente ed oscura come un fiume in piena, con intermezzi jazzati in cui Par Lindh dimostra tutta la sua classe.

L’ombra oramai sovrasta il tutto e diventa protagonista assoluta nell’esplosione finale. Disco di incommensurabile bellezza. Capolavoro assoluto.

Elenco tracce e video

01   Dresden Lamentation (02:06)

02   The Iconoclast (07:05)

03   Green Meadow Lands (07:25)

04   The Cathedral (19:34)

05   Gunnlev's Round (02:52)

06   Night on Bare Mountain (incl. The Black Stone) (13:50)

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