Londra 1991
Un incendio devasta gli Star Street Studio con all'interno i master di quello che sarebbe dovuto diventare il secondo disco degli Shack. L'unica registrazione scampata alle fiamme, una copia in DAT, è in mano a Chris Allison che aveva prodotto il tutto. Sfortunatamente il nastrino viene dimenticato dallo stesso in un'auto a noleggio durante un viaggio negli Stati Uniti. E miracolosamente ritrovato qualche mese dopo in New Mexico. Nel frattempo però la Ghetto Recordings Company chiude i battenti e il disco non vedrà più la luce. Almeno fino ad ottobre1995 quando Marina Records, una piccola etichetta tedesca, da alle stampe "Waterpistol".
Ascoltatelo quel gioiello fuori tempo massimo. Potevano essere (tra) i primi in quel circo chiamato britpop. Probabilmente tra i più influenti. Per chi scrive, senz'altro i migliori. Come dieci anni prima del resto...
Liverpool (e dove sennò) 1982
La Virgin ingaggia un gruppo di baldi ragazzotti con alle spalle un singolo uscito per Les Disques du Crépuscule, etichetta belga con in catalogo Tuxedomoon e Josef K (così). Pale Fountains il nome della band. Michael Head, dotatissimo songwriter, il loro leader.
Leggenda narra che la label di Richard Branson stacchi assegni per 150.000 sterline come anticipo per le loro prestazioni. Di certo c'è che buona parte di quell'anticipo finirà nelle tasche di qualche pusher e nelle casse di più di un pub.
Dopo un altro paio di singoli che vedono le classifiche con il binocolo, il 27 febbraio 1984 esce finalmente "Pacific Street".
Dietro la copertina vagamente "Smithsiana" (foto virata in giallo di un soldato abbondantemente incartucciato) si cela uno scrigno di gemme che, seppur in linea con gli umori sixties del pop (quello bello) di quegli anni, rivela amori inattesi. E così, oltre ai soliti noti (Beatles e Stones, Beach Boys, Byrds) ecco comparire, qua e là tra i solchi, Burt Bacharach, Jobim e soprattutto i Love di Arthur Lee.
E sono proprio i due brani posti in apertura, "Reach" e "Something on my Mind" (qui riproposta in maniera differente rispetto al singolo d'esordio) a chiamare in causa i californiani. l jingle-jangle delle chitarre e la tromba (Andy Diagram che troveremo anni dopo nei James e nei Two Pale Boys di Mr.Dave Thomas) in primo piano in un tripudio che più pop non si può. Pop (perfetto) che ritroviamo in "You'll Start a War" (qui siamo a Liverpool) e in "Abergale Next Time" (il vecchio Burt sorride ancora oggi) e non capisci il perché non abbiano venduto dischi a vagoni.
Ma è nei momenti più eterei che i nostri danno il meglio. "Southbound Excursion" , ancora Bacharach, il flautino (!), Dionne Warwick che guarda...e "Crazier" , sempre il flauto, qualcosa che sembra una kalimba, il Brasile, la melodia che si inceppa, poi riparte e si inceppa ancora. Delizia.
E, ultimo, ma beatamente tra i primi, il gioiello più prezioso, "Unless". Una specie di bossa nova, plumbea e sospesa, la tromba epicamente in secondo piano e il buon Mick che ci racconta, ovviamente, di un addio.
Riceverà lodi sperticate "Pacific Street". Ma le vendite non copriranno le spese. Ciononostante la Virgin fa incidere loro un secondo disco. Altrettanto bello, sicuramente più maturo, che venderà ancora meno. Arriva il rompete le righe.
I fratelli Head ripartiranno come Shack. Appunto.
Micheal cadrà più volte colpito da depressione e dipendenze di vario tipo. Si rialzerà sempre. E spesso grazie alla musica. La chiamata di Arthur Lee, che lo porta con sé in tour, una delle tante resurrezioni...e un cerchio che si chiude.
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