Quando la città sente le palpebre pesanti, quando beve l'ultimo bicchiere d'acqua dalle grondaie, quando si toglie dai lobi le luci dei negozi e sbadiglia dai tetti delle case. Quando si adagia mezzo svestita nel suo letto di pietra.

Ci vuole talento per sussurrare ninnananne. Ci vuole un alito tiepido e la percezione delle pause, servono occhi che si adattino all'oscurità, serve un cervello predisposto al dormiveglia, un'articolazione mandibolare adatta e un cuore inquieto; sì, soprattutto un cuore inquieto.

Gli arpeggi biascicati da sonnambulo, l'intreccio indolente della fabula, il post-modernismo esangue e scarno dei Labradford: Mark Nelson è il menestrello massimo di letargìa indotta.

E il ritmo? Esplorato con i primi dischi dei PanAmerican; side-project in abito da sera, elettronica da night club foderata di downtempo e dub occasionale.

Poi d'un tratto "Quiet City". I campionatori scendono dalla pista da ballo e si distendono per le vie del centro storico tra loops al neon, vapori soffusi e qualche bollicina glitch. Pezzi che osservano i campanili come madri premurose, che sfiorano le piazze come giovani innamorati, che bisbigliano dai portoni come romanze insinuanti. Pezzi come occhi che vegliano, mani che accarezzano, parole che sedano.

Ci vuole talento per sussurrare ninnananne. Ci vuole un alito tiepido e la percezione delle pause, servono occhi che si adattino all'oscurità, serve un cervello predisposto al dormiveglia, un'articolazione mandibolare adatta e una voce che sia come un rantolo; sì, soprattutto una voce che sia come un rantolo.

Una voce come quella di Mark Nelson; frammentaria, salmastra, a piè di pagina. Usata solo come incisivo cameo.

La città è quieta. Vegliata dalle ciglia di raffinatezze digitali che fendono una pioggerellina di tabla, accarezzata dalle mani di un chitarrismo discreto che giocherella con una tromba dai capelli al vento e una fisarmonica dagli occhi umidi, sedata dalle parole di un basso ipnotico che bofonchia in dissonanza a fugaci percussioni in grassetto.

La città dorme ormai. Avvolta da un morbido velo ambient trapuntato di fantasie psichedeliche.

Ci vuole talento per sussurrare ninnananne. Ci vuole soprattutto un cuore inquieto e una voce che sia come un rantolo, un cuore e una voce di chi non riposa mai e che per questo comprende il valore di un sonno profondo.

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