Se si parla di film di genere distopico è facile pensare ad un autore del calibro di Cronenberg. Lo stesso non si può dire di Paolo Virzì, regista il cui nome è legato a vari titoli ("Ovosodo" e tanti altri) contraddistinti da uno stile neo realista attento alle odierne tematiche sociali. Ed il suo ultimo film, dal titolo "Siccità", è in linea con la suddetta cifra stilistica.

Cominciamo dal titolo, appunto. Secco e per niente futuribile, dal momento che siamo reduci dall'estate più calda registrata da qualche decennio a questa parte (e fra l'altro candidata ad essere la più fresca rispetto alle estati dei prossimi anni). Non desta quindi meraviglia vedere in questo film la città di Roma fiaccata dalla mancanza di pioggia da più di tre anni e con tanto di fiume Tevere in secca. Ne` tanto meno, in una metropoli così caotica e sporca (vedasi blatte ovunque invece degli attuali topi e cinghiali), risulta incredibile la scoperta di un 'epidemia di letargia (o malattia del sonno) che colpisce tante persone punte da non ben specificati insetti. Come non pensare, a fronte di questo snodo narrativo, alla non ancora rientrata pandemia da Covid di questi nostri tempi moderni?

No, non è la dimensione futuribile e distopica la caratteristica saliente dell'ultima opera di Virzì. Semmai il punto di forza è costituito dall'impianto corale della trama affollata da tanti personaggi interconnessi fra loro (proprio come capitava nei film di Robert Altman). Ad accomunarli è il male di vivere in tempi grami, affetti da un elevato livello di infelicità sia nei rapporti lavorativi, sia nella sfera del privato. Immersi nello stress della vita quotidiana, incapaci di interagire al di fuori delle piattaforme social del web, sono un branco di dannati, avidi, meschini, inariditi interiormente come la terra riarsa priva d'acqua. Sarebbe proprio da ritenere che, pur andando incontro ad un insperato epilogo positivo della situazione, non riuscirebbero poi a trarre un valido insegnamento da quanto provato sulla propria pelle.

In questa galleria di personaggi, non tutti adeguatamente focalizzati, alcuni spiccano anche per la gran prova recitativa degli attori. È il caso, a mio parere, di Silvio Orlando che impersona efficacemente un detenuto trovatosi fortuitamente fuori dal carcere, smarrito viandante per il dedalo delle vie e dei rioni di una Roma disgraziata e allucinante. Così come Valerio Mastandrea è da segnalare per la convincente interpretazione del taxista Loris, tanto amareggiato dalla vita e dal lavoro da ritrovarsi a parlare con conoscenti e con i genitori ormai defunti, a conferma del suo stato mentale molto confuso, prima di finire all'ospedale per aver contratto anche lui la dilagante malattia del sonno.

Sostanzialmente è un film molto spiazzante, anche se non sempre ben risolto e con un finale immeritatamente consolatorio. Ma resta il fatto che, non essendo una vera e propria pellicola di fantascienza, offre un ritratto impietoso ed originale del nostro mondo sempre più avvitato in una spirale di decadenza e imbarbarimento.

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