What is a man? A miserable little pile of secrets. Ma ciascuno di noi, qualunque ammasso di segreti sia, ha bisogno ogni tanto di un piccolo break. Un palliativo. Un momento rilassato di vero godimento. E io, povero folle butterato che rifugge dalla luce del Sole, devo ammettere di non fare eccezione. Ci sono giorni che, dopo essermi massacrato le orecchie e i neuroni con tanto buon Grindcore e Brutal Death Metal di qualità, avverto l'urgenza di stendermi sul mio letto di membra marce, guardare la notte di pece e fumarmi un sigaro rilassando i miei vecchi timpani sanguinanti. Col Death Doom Metal sono certo di non sbagliare: un genere che sa soddisfare il mio palato senza rinunciare a un sapore notturno e sepolcrale.

E giusto ieri sera ho scelto per l'ennesima volta un disco tenuto insieme con la colla di Lucifero, a furia di ascoltarlo in questi mesi passati: "Medusa", ultimo parto dei grandi Paradise Lost.

MEDUSA: una delle figure più inquietanti della mitologia greca. Pronta a trasformare in pietra chiunque osi soltanto guardarla negli occhi. Esattamente la stessa cosa è accaduta al qui presente Excreted; Alive parlerà più tardi del disco.

Sono rimasto pietrificato dalla gioia fin dal primo ascolto, dal primo, eterno brano "Fearless Sky". Introdotto da un synth seguito da un riff alla Winter, è una botta da otto minuti di una pesantezza rozza, funerea, che rimanda al passato più lontano della band di Nick, Aaron, Gregor e Stephen: sono sempre loro quattro, assieme al buon Waltteri, a deliziarci con un lugubre e ghiacciato modus operandi. Dopo trent'anni di carriera ancora insieme, ancora uniti. Alla soglia dei cinquant'anni di età producono uno dei loro album migliori; non ho problemi a proclamare quanto appena scritto.

Avevo solo un dubbio al momento dell'acquisto, in uno sperduto buco di Milano: la produzione affidata alla label teutonica Nuclear Blast; ma stavolta ho dovuto ricredermi. Suoni plumbei, densi, malaticci: un impasto impenetrabile, ancor più del precedente "The Plague Within". Con la voce di Nick tuttora capace di graffiare a dovere grazie soprattutto ad un sontuoso approccio growl nel cantato.

Non c'è alcun tipo di innovazione, non rischiano nulla. Sanno cosa vogliono comporre e poi suonare: tonnellate di riff mastodontici, epici, violenti, conturbanti. Una raggelante prova di forza, come avviene nella conclusiva "Until The Grave": facile immaginare dal titolo del brano i temi trattati nel testo. Un'opera ostica, da assorbire e alimentare con pazienza e fermezza, dove si spazia dal death quasi puro di "No Passage For The Dead" a una canzone che ricorda palesemente i leggendari Type O Negative come "The Longest Winter", passando per certi Cathedral.

Il meglio lo sfoderano nella title track, che si apre con lente note di tastiera; la voce di Nick per una volta lascia da parte il sofferto e orripilante growl per avvicinarsi a un canto declamatorio e pulito. Ma la musica resta evocativa, lenta, asfittica; e poi, d'improvviso, ricompare il growl, che si alterna magistralmente alle linee vocali più umane. Ancora tastiere che fanno da preludio all'ultima parte della canzone, agli ultimi due minuti catacombali.

Le porte dell'Inferno si spalancano e tutto viene fagocitato... TERRORIZZANTI...

Posso dormire tranquillo, adesso: con Gregor e i suoi a cullare i miei sogni da psicotico, non ho nulla da temere.

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