Una volta mi sono permesso coraggiosamente di parlare del sound del primo PMG definendolo "garage jazz". Non stavo cercando di definire un vero e proprio genere, ma nel tentativo di descrivere il suono ruvido e puro dei primi album del gruppo, diciamo tra il 1974 e massimo il 1982, mi sono imbattuto nell'approvazione di alcuni appassionati del genere. Perciò lo ripropongo. Simbolo di tale ruvidezza e imperfezione del suono è, secondo il mio punto di vista, proprio "American Garage". L'album è del 1979, rustico e ruspante, allegro e potente ed è il secondo del Pat Metheny Group. Per la cronaca con Metheny, Mays, Egan al basso e Gottlieb alla batteria.

Cosa ci sia di così imbarazzante proprio non riesco a capire. Scrivo questo proprio perchè lo stesso Pat definisce questo suo lavoro pieno di errori, suonato e mixato indecorosamente ed a tratti troppo pretenzioso. Sostiene inoltre che lo stesso materiale dell'album può essere un punto di partenza, al limite ancora valido da sviluppare, ma quivi esposto in forma dozzinale e poco decente!!!

Trovo l'album assolutamente simbolico ed accattivante. Partirei a descriverlo dal fondo, da uno di quei pezzi che mi fanno letteralmente vibrare. Si tratta dell'immensa "The Epic", un movimento di tredici minuti frizzanti e travolgenti. Tanto è vero che l'avvio del brano mi riporta ad atmosfera da "entrata trionfale", una sorta di arco della vittoria in chiave jazz.

Apre il cd "(Cross the) Heartland". Nel pezzo, abbastanza coinvolgente, si avverte una ricerca sonora specifica. La chitarra di Pat è decisamente protagonista, ma c'è anche l'organo elettrico di Mays che dà un'impronta particolare al sound. Molto acustica e suggestiva "Airstream" con un buon Mays, in stampo classico, in evidenza. E' una ballad profonda e "pulita".
"The Search" era un pezzo destinato ad una serie di documentari scolastici, e se lo si ascolta attentamente ha un che di "scientifico". In grossa evidenza l'oberheim suonato da Lyle. Questo sound ricorrerà spesso negli interventi futuri del tastierista. Gradevole.

"American Garage" ha dentro un po' di tutto. Decolla con una batteria in stile rock beatlesiano e la funzione è un po' a sottolineare l'importanza del rock nella musica del group. E' un groove molto aggressivo, a tratti sconfina nel blues, dinamica e piena di cambi ritmici, ha persino parentesi brasilianeggianti.

Le cinque composizioni sono state co-firmate tutte da Pat e Lyle Mays, un segnale di prolifica e armonica intesa tra due ottimi artisti emergenti dalla spiccata creatività e voglia di sperimentare suoni e strumenti innovativi. Preamboli di una fusion immagine del group, che andrà via via definendosi e migliorando. Il risultato, insisto, è più che credibile, anche se "l'opera" dura nel complesso poco più di mezz'ora. Il groove dell'album, all'epoca, risultava fresco ed innovativo, dal suono corposo e rude. Da garage.

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