Spiccano in copertina i nomi dei musicisti che prendono parte, nel 1978, a quello che si può definire il primo lavoro da studio del Pat Metheny Group. Titolo omonimo.

I nomi sono quelli di Pat, Lyle Mays (tastiere), Mark Egan (basso) e Gottlieb (batteria). Va detto che è un gruppo di eccitati giovanotti (Pat ha solo 23 anni) e il brio si avverte quasi in ognuno dei 6 brani che compongono il cd.

Pat è già esperto: ha sulle spalle diversi anni di collaborazione con il gruppo di Gary Burton, 6 mesi di live con la sua nuova formazione. Ritiene dunque di avere le carte per gestire da leader un suo group. Le atmosfere che ha in mente sono prettamente di matrice jazzistica. Con il supporto di Mays, e siamo alla prima vera collaborazione creativa del duo, si va a delineare un sound, un mood, già riconoscibile e personale.

Apre il tutto "San Lorenzo", briosa suite di 10 minuti erotti, con chiarissimi richiami (soprattutto nella parte centrale) ai Weather Report. "Phase Dance" è scattante e vivace. Dura più di 8 minuti, e ancora oggi viene riproposta nei live. Il pezzo in particolare ha una metrica molto veloce ed è un esempio storico dello stile di Pat. Magicamente ossessive l'intro e il finale di "Jaco", il terzo pezzo dell'album (omaggio al bassista Pastorius, conosciuto da Pat nei Weather Report e con cui si era sviluppato un buon feeling) che esplode in una floreale melodia che mette ben in evidenza un sinuoso giro di basso. Deliziosa. "April wind" ha un sound mistico, acustico e lontano, che riporta un po' a Watercolors del 1977, e fa un po' da intro alla incredibile, memorabilia del suond garage jazz "April Joy". Un vero classico, nel quale, nella parte iniziale Pat si scatena in una turbinosa e scattante improvvisazione, sviluppa il tema in perfetta armonia con il group fino alla parte centrale, più morbida e riflessiva, lenta e curata da Mays, in un soffio di melodia tiepida e avvolgente. Riattacca gradualmente Pat che va a ricamare su quest'inno moderno alla primavera, fino alla delicata sfumatura finale.

E adesso?Come definire il pezzo di chiusura di PMG "Lone Jack"? E' un capolavoro assoluto, un classico di sempre, riproposto in mille live (e rivisto in versione "contemporary" per il Trio 99/00), eccezionalmente allegro, positivo ed energico. Suonato ad una velocità davvero impressionante, fanno specie le striature di Pat con la sua Gibson . Spettacolose le fasi free del giovane chitarrista americano e il solo di Mays, inserito gradualmente in un maestoso fraseggio. Alla fine del brano gli strumenti devono probabilmente essere bollenti. Il pezzo dura 6 minuti ma potrebbe durarne il doppio senza mai appesantirsi.

Il disco è un segnale forte del nuovo e stupefacente PMG che scuote il mood stantio di quegli anni regalando vitalità a un genere in fase di stallo. Un impressionante esempio di bravura e innovazione (vedi l'oberheim suonato da Mays) del suono che ancora oggi viene riproposto. Una nota sulla retro copertina: mi fa impazzire. C'è una foto con 4 ceffi, capelloni e un po' imbarazzati, vestiti in modo grottesco. Sono proprio loro, i protagonisti di questo ottimo album.

Ed è solo l'inizio.

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